Economia

Baby pensioni, ecco quante sono e quanto costano agli italiani

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Le baby pensioni hanno un costo, per il nostro erario, pari a 102 miliardi di euro. A beneficiarne sono 256 mila persone. La spesa, ad essere veramente sinceri, sfiora i 130 miliardi di euro, se si volessero aggiungere anche gli assegni che sono stati eliminati.

A scattare una foto del mondo previdenziale, dal quale abbiamo estratto questi numeri, ci ha pensato direttamente Pasquale Tridico, presidente del’Inps, all’interno del libro scritto con Enrico Marro, giornalista del Corriere della Sera, dal titolo “Il lavoro di oggi, la pensione di domani (perché il futuro del Paese passa per l’Inps)” pubblicato da Solferino editore.

Pasquale Tridico ha voluto analizzare alcuni dei privilegi, erogati principalmente nel corso degli anni Settanta ed Ottanta e che hanno accompagnato l’evoluzione del sistema previdenziale. E che hanno, soprattutto, creato dei veri e propri guasti, con i quali stiamo facendo dei conti ancora oggi.

L’Inps, ancora oggi, continua ad erogare la bellezza di 185 mila baby-pensioni.

I numeri delle baby pensioni

Sicuramente le baby pensioni sono uno dei casi più eclatanti di privilegio previdenziale, che è partito nel 1973.

In quel periodo al governo c’era il centrosinistra di Mariano Rumor e ci si cullava ancora nell’illusione di una crescita senza fine. Complessivamente sono stati 256 mila i lavoratori che sono riusciti a beneficiare delle cosiddette baby pensioni. 185 mila di questi risultano essere ancora vigenti ora. 149 mila di queste baby pensioni sono destinate a delle donne. Ogni anno si spende qualcosa come 2,9 miliardi di euro.

Andando a dare un’occhiata all’età dei diretti interessati, si nota come le donne siano andate in pensione a 42 anni, mentre gli uomini a 45. Mediamente un uomo sta usufruendo dell’assegno da almeno 35 anni e una donna da 36. I baby pensionati deceduti, invece, sono riusciti a godere di questo trattamento mediamente per 28 anni – 29 le donne, 26 gli uomini -. Gli anni di contribuzione, invece, sono stati mediamente 22 per le ex lavoratrici e 25 per gli ex lavoratori.

Attualmente il valore delle baby pensioni, che sono state erogate dall’Inps, moltiplicato per gli anni di godimento, è stato pari a 102 miliardi di euro. “Agli assegni ancora in fase di liquidazione vanno ovviamente aggiunte, per il loro periodo di godimento, le pensioni eliminate, arrivando così – spiega Tridico – a una cifra totale di 130 miliardi“.

Quando e come sono state introdotte le baby pensioni

Le baby pensioni sono state introdotte nel 1973 dall’allora governo Rumor. Permettevano di uscire dal mondo del lavoro al raggiungimento dei seguenti requisiti:

  • 14 anni, 6 mesi e un giorno di attività lavorativa per le mamme lavoratrici;
  • 19 anni, sei mesi e un giorno per gli uomini;
  • 24 anni, sei mesi e un giorno per i dipendenti degli enti locali.

A differenza di oggi, in quel periodo l’economia era particolarmente florida. Il Pil cresceva del 5-6% all’anno e il rapporto tra debito e Pil si attestava intorno al 30%.

Ma soprattutto i lavoratori erano più dei pensionati e non si pensava, in nessun modo, ai costi futuri. Le baby pensioni sono state abolite nel 1992 dal governo Amato.

Gli effetti sull’attuale sistema previdenziale

Gli effetti di quella scelta, però, continuiamo a pagarli oggi. Sicuramente la storia delle baby pensioni ci ha dato un’importante lezione: prima o poi arriva il conto da pagare.

Essere stati eccessivamente generosi nel permettere l’uscita dal mondo del lavoro, senza valutare quali potessero essere le implicazioni future ha inciso pesantemente sul sistema previdenziale di oggi.

I politici hanno imparato qualche cosa da questa storia? Certamente sì, perché sono restii ad abbassare l’età della pensione per i lavoratori: e fin qui potrebbe esserci una certa logicità.

Ma non applicano lo stesso rigore con la propria situazione previdenziale: le crisi di Governo, anche l’ultima che ha fatto cadere Mario Draghi, guarda caso arrivano, come scrive Leopoldo Gasbarro, “proprio in corrispondenza del raggiungimento dei termini pensionistici, per poi esplodere in una crisi di governo giusto una volta che i vitalizi sono stati maturati”.