Le crisi di Silicon Valley Bank e Credit Suisse sono replicabili altrove? Impatti significativi in Italia sono quasi impossibili, dice un’analisi della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, che snocciola i numeri delle banche europee e italiane.
La Vigilanza dell’Unione europea e le autorità finanziarie del Vecchio Continente, che hanno norme più stringenti e impongono controlli differenti e maggiori rispetto a quelle dei due Paesi degli istituti falliti, hanno fatto tesoro di quanto accaduto con la precedente crisi globale del 2008 e hanno ampliato il proprio lavoro, chiedendo alle banche di rafforzare soprattutto la loro posizione patrimoniale e i requisiti di liquidità. Un sacrificio durato anni che però oggi porta i suoi frutti: gli istituti di credito dell’area euro, che tra l’altro sono per nulla presenti in Silicon Valley Bank, sono solidi e meno esposti alle turbolenze finanziarie di questi giorni. Per comprendere appieno questa solidità, è sufficiente analizzare i dati relativi a settembre 2022 e che interessano le più importanti banche dei principali Paesi europei.
Banche: l’analisi della Fabi
Complessivamente, in Europa sono 111 gli istituti di credito significativi. Il totale degli attivi di questi complessivamente ammonta a ben 27,77 miliardi di euro e quello dei profitti supera i 92 miliardi. Analizzando nel dettaglio le prime quattro nazioni, l’Italia con 12 banche significative è al quarto posto per totale di attivi (2,8 miliardi di euro) e per profitti (12,87 miliardi di euro), con un Roe (return on equity) dell’8,95%, al di sopra della media dell’Unione europea. È la Francia il Paese con i valori più alti: a fronte di “sole” 10 banche significative, ha attivi per 9,47 miliardi, profitti per 25,11 miliardi con un roe del 6,21%, anche se di quasi due punti percentuali inferiore al dato dell’Italia. La Germania (21 istituti significativi), registra attivi per 5,3 miliardi, profitti per 10,06 miliardi, con un Eoe ancora più basso, al 5,19%. Prima dell’Italia, per attivi (3,87 miliardi) e profitti (17,81 miliardi), si colloca la Spagna, che incassa un Roe al 10,53%.
L’Italia, con una massa di attivi pari alla metà di quella tedesca e a circa un terzo di quella francese, vanta un Roe (return on equity) superiore non solo alla media europea, ma anche ai principali concorrenti dell’area euro (Italia: 8,95%, media europea: 7,50%), una percentuale relativa al cost/income pari al 64,2%, un Cet1 che si attesta in media al 14,7% rispetto all’8% stabilito come valore minimo dalla Bce e un Tier1 al 16,2%. Senza dimenticare che gli indici patrimoniali delle banche italiane di minore dimensione raggiungono in taluni casi valori ben più alti, a testimonianza che anche le piccole realtà hanno rafforzato il proprio patrimonio per fronteggiare eventuali altre crisi sistemiche. Tornando ai grandi gruppi bancari, valori simili all’Italia li troviamo in Germania (cost/income al 69,2%, Cet1 al 14,9% e Tier1 al 16,1%) e in Francia (cost/income al 67,9%, Cet1 al 15% e Tier1 al 16%). La Spagna, invece, mostra più “fragilità” pur rimanendo su valori sufficienti per rispondere a eventuali crisi, ma decisamente più bassi delle altre tre nazioni: il cost/income è al 49,8%, Cet1 al 12,5% e Tier1 al 14%. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, conclude:
“La solidità finanziaria delle banche italiane dipende da tre fattori cruciali: le regole e i controlli efficaci della vigilanza, la qualità professionale dei vertici dei gruppi e la resilienza assicurata dalle lavoratrici e dai lavoratori che con il loro impegno, la serietà e lo spirito di abnegazione hanno fornito un formidabile contributo alla tenuta e alla stabilità del settore bancario italiano in un periodo di profonda trasformazione non privo di incertezze, sia quelle legate alla pandemia sia quelle derivanti dalla guerra in Ucraina. Si tratta di un dato di fatto, di un merito che andrà adeguatamente riconosciuto, dalle banche, anche dal punto di vista economico, in occasione del rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro che sarà al centro del prossimo negoziato. Il lavoro ha consentito alle banche italiane di compiere un salto di qualità estremamente significativo sotto tutti i punti di vista: per gli indici di liquidità, la bontà del patrimonio e il livello di redditività, tutti e tre superiori alla media europea“.