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(WSI) –
Gli asset allocator di JpMorgan private bank consigliano alla fascia più alta della clientela privata (25 milioni di dollari e oltre) di dedicare il 35% del portafoglio ad attività finanziarie alternative e, più precisamente, il 20% ai fondi hedge. Il business di Highbridge Capital, la società controllata direttamente dalla banca d’investimento Usa, prosegue a gonfie vele. Altrettanto successo riscuote la piattaforma hedge proprietaria che registra acquisti medi per un milione di dollari al mese.
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Per Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates (un gigante dell’industria con 30 miliardi di dollari di asset investiti in hedge e un patrimonio totale di oltre 170 miliardi) il momento d’oro del settore deriva dal clima di fiducia che si respira in Borsa, ma la correlazione con le altre attività finanziarie è un elemento di disturbo.
Negli ultimi 24 mesi le performance dei fondi alternativi avrebbero evidenziato una correlazione del 60% con lo S&P500, del 67% con il MscI Eafe Index (che comprende Europa, Australia e Far East) e addirittura dell’87% con i mercati emergenti. Minore, ma sempre elevato, il legame con materie prime in termini di Gsci (41%), obbligazioni ad alto rendimento (52%) e mortgage-backed securities (42%). Secondo Dalio, preoccupa soprattutto la crescita della correlazione nel tempo: la medesima analisi condotta nel 1994 evidenziava infatti valori compresi tra il 49% e il 54 per cento.
In un periodo dove la bassa volatilità e gli spread contenuti riducono le fonti di alpha, i gestori alternativi hanno deciso di correre più rischi. Molti fondi utilizzano così le commissioni tipiche degli hedge, ma forniscono poca protezione. Uranium Energy Fund, recentemente lanciato da Yuri Rubinovich e Boris Gleyzer, si propone ad esempio di generare un rendimento del 30% annuo investendo su aziende impegnate nell’estrazione dell’uranio. Il fenomenale bull market che ha portato le quotazioni da 30 a 135 dollari la libbra in un paio d’anni potrà anche consentire al fondo di centrare in tempi brevi il target di capacity (100 milioni di dollari), ma quando il trend muterà sarà praticamente impossibile fornire ritorni positivi.
D’altronde, i gruppi che operano in ottica conservativa devono accontentarsi di rendimenti assai poveri: il multimanager di Bridgewater, ad esempio, nel 2006 non è andato oltre il 3,4 per cento. Dalio però preferisce mantenersi abbottonato e spiega il perché: «Oggi hedge e private equity sono l’equivalente del dot-com nel 2000. Basta che si presentino agli investitori per ottenere senza sforzo masse di denaro enormi. Inoltre, la loro presenza ha gonfiato i prezzi di ogni tipo di attività finanziaria. I rendimenti del decennale Usa sono destinati ad aumentare di almeno tre quarti di punto e gli spread sul credito non possono che allargarsi. Crediamo che sia giunto il momento di porre in essere operazioni anti-carry, cioè acquistare le monete con bassi tassi d’interesse».
Il portafoglio di Bridgewater è molto contrarian, lungo di franchi svizzeri e yen sia contro dollaro sia euro. Lo short sulle obbligazioni a lunga ha pagato moltissimo, mentre gli investimenti sulle divise emergenti sono stati progressivamente ridotti. L’opinione sull’azionario è neutrale: le valutazioni sono considerate attraenti, ma la fase avanzata del ciclo economico espone il mercato a rischi di delusione sul fronte dei margini (in discesa) e dei tassi (in aumento).
Anche la scelta dei titoli azionari su cui puntare risulta guidata dalla prudenza. Negli Stati Uniti sono gradite solo le grandi capitalizzazioni difensive quali Coca-Cola, Johnson & Johnson, Pepsico, Wal Mart, Exxon Mobil, American International Group, Merck, Altria ed Anheuser Busch, con qualche rara eccezione come Johnson Controls, Axcan Pharma, Agrium e Domtar Corporation.
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