Per il terzo giorno consecutivo scoppi ed esplosioni scuotono Khartoum, malgrado gli sforzi della diplomazia per ottenere un cessate il fuoco. Nella capitale del Sudan infuria la battaglia tra l’esercito e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), che rischia di sfociare in una vera e propria guerra civile.
Il bilancio ufficiale delle vittime civili è salito a oltre 100, secondo il Central Committee of Sudanese Doctors, un gruppo medico filo-democratico. Cerchiamo di inquadrare meglio dal punto di vista economico i tristi avvenimenti delle ultime ore.
Lo scontro fra esercito e RSF per il controllo del Sudan
Il conflitto tra le truppe regolari delle Sudanese Armed Forces (SAF) e le RSF è scoppiato sabato, dopo mesi di tensioni, trasformandosi fin da subito in una lotta per il controllo della nazione. Le due fazioni si contendono infrastrutture chiave come l’aeroporto internazionale di Khartoum e l’emittente pubblica.
L’esercito regolare è guidato dal presidente Abdel Fattah al-Burhan e le RSF dal Generale e vicepresidente Mohamed Hamdan Daglo – Hemedti, ex alleati durante il golpe del 2021. Ora però i due sono rivali, complice la volontà di al-Burhan di unificare le due forze sotto il proprio controllo, privando Hemedti del proprio potere militare ed economico.
La disputa rischia inoltre di far naufragare i piani che avrebbero dovuto portare il Sudan alle elezioni democratiche.
L’economia del Sudan
Il Sudan è uno dei paesi più poveri e meno sviluppati del mondo, con una fetta importante (all’incirca un terzo) di popolazione impiegata nell’agricoltura. Tra le principali colture figurano cotone, arachidi, sesamo, gomma arabica, sorgo e canna da zucchero, oltre alle colture di sussistenza come miglio, grano, mais e orzo.
Circa un terzo dei sudanesi versa in condizioni di insicurezza alimentare e la guerra in Ucraina ha ulteriormente peggiorato la situazione nel Paese, che trae da Kiev e dalla Russia oltre l’80% delle proprie importazioni di grano.
A fine anni ’90 il Paese ha avviato la produzione di petrolio, che è rapidamente diventata l’esportazione più importante del Paese.
La maggior parte della popolazione sopravvive grazie ai contributi inviati dai 5 milioni di sudanesi all’estero, che sostengono i familiari attraverso rimesse economiche in valuta estera. Questo consente anche di preservarne il valore dalla dilagante inflazione locale, stimata intorno al 99% nel 2022.
Le esportazioni di petrolio
Prima della secessione del Sud Sudan (nel luglio 2011), il Sudan e il Sud Sudan disponevano congiuntamente di risorse petrolifere stimate tra i 5 e i 6,7 miliardi di barili, attestandosi al quinto posto nella classifica dei Paesi africani con maggiori risorse petrolifere.
La separazione ha avuto conseguenze catastrofiche per l’economia sudanese, visto anche che l’80% dei giacimenti petroliferi si trova in Sud Sudan. D’altro canto, quest’ultimo non dispone di sbocchi marittimi e di infrastrutture per la lavorazione, raffinazione e distribuzione. Pertanto, deve pagare royalties a Khartoum per il transito del petrolio verso il principale porto commerciale della regione, Port Sudan.
La raffinazione dell’oro
Dalla secessione del Sud Sudan, Khartoum ha puntato fortemente sulla produzione aurea come fattore di diversificazione dell’economia e fonte di valuta forte, aprendo nel 2012 una nuova raffineria.
Con la raffinazione dell’oro nel Paese il Governo mira a contrastare il contrabbando aureo, garantendo maggiori profitti ai produttori e un prodotto con uno standard di qualità internazionale.
A gennaio 2018 la produzione di oro del Sudan ha raggiunto le 93 tonnellate, ponendolo al terzo posto nella classifica dei maggiori Paesi produttori africani dopo Ghana e Sud Africa.
I rapporti commerciali con l’Italia
Secondo i dati ICE/Eurostat, riportati da Infomercatiesteri.it, relativi all’interscambio commerciale tra Italia e Sudan, il 2021 evidenzia una crescita del 12,3%, trainata da un aumento delle importazioni di greggio da parte dell’Italia e da un aumento dell’export di macchinari italiani per l’industria.
Le importazioni totali dall’Italia hanno registrato un incremento del 19,3% per un valore complessivo di 171 milioni di euro. Oltre al petrolio greggio, che rappresenta l’80% del totale, esse annoverano oro, metalli preziosi e altri metalli non ferrosi, prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica, prodotti vegetali non legnosi, oli e grassi vegetali e animali.
Nello stesso periodo, le esportazioni italiane verso il Sudan hanno raggiunto un valore di 83,1 milioni di euro, mantenendosi costanti rispetto all’anno precedente nonostante la forte svalutazione della sterlina sudanese. Approfondendo le singole componenti del dato, la prima voce è quella relativa ai macchinari per l’industria, pari al 48% del totale.
I prodotti per l’industria alimentare, la cui domanda risulta sostanzialmente anelastica rispetto alle variazioni del tasso di cambio che hanno interessato il Paese, hanno rappresentato la seconda voce dell’export (11% dell’export complessivo) con un valore pari a 9,2 milioni di euro e un aumento del 21,5% rispetto all’anno precedente.
Le possibili implicazioni del conflitto
Le nuove tensioni nel Paese rischiano di rallentarne la transizione democratica e di complicare i rapporti internazionali e gli scambi commerciali. L’accordo per un governo di condivisione, inoltre, avrebbe sbloccato miliardi di dollari di aiuti congelati.
Il conflitto potrebbe coinvolgere, direttamente e indirettamente, anche i Paesi africani vicini e non solo; gli sviluppi in Sudan vengono infatti monitorati con attenzione, tra gli altri, anche da Russia e Cina, interessate sia alle riserve petrolifere e minerarie del Paese, sia allo sbocco strategico sul Mar Rosso di Port Sudan.
Secondo Bloomberg Intelligence, le violenze potrebbero compromettere gli asset petroliferi della China National Petroleum in Sudan, tra cui una quota nella principale raffineria di petrolio a Khartoum.
Oltre agli scontri a Khartoum, ve ne sono stati anche a el-Fasher, nella regione occidentale del Darfur, per il controllo dell’aeroporto. Ulteriori disagi si sono verificati nello stato del Nilo Blu, al confine con l’Etiopia, e a Port Sudan, zona chiave per il commercio e per l’esportazione del petrolio dal Sudan del Sud.
Inoltre, secondo i media statali sudanesi, è a rischio un accordo preliminare da 6 miliardi di dollari firmato dal governo sudanese con due aziende degli Emirati Arabi Uniti a dicembre per la costruzione di un nuovo porto sulla costa del Mar Rosso.