Nel complesso le province in cui i pensionati superano gli occupati sono 39, pari al 37%, secondo una fotografia de Il Sole 24 Ore: Reggio Calabria, Messina, Foggia, Napoli, Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia, Lecce, Cosenza, Caltanissetta, Oristano, L’Aquila, Taranto, Terni, Nuoro, Isernia, Benevento, Palermo, Campobasso, Agrigento, Potenza, Trapani, Biella, Enna, Ancona, Rieti, Catania, Perugia, Ferrara, Siracusa, Imperia, Ascoli Piceno, Vercelli, Rovigo, Avellino, Asti, Salerno, Savona e Chieti.
Nel dettaglio a Reggio Calabria e Catanzaro i lavoratori attivi sono 67 ogni 100 pensionati, a Messina il rapporto è 72 ogni 100, a Crotone il rapporto è 71 ogni 100, a Messina a 72, a Vibo Valentia a 76, a Foggia si arriva a 88, a Napoli 96.
Maglia nera al Sud per numero eccessivo di pensionati
Quasi tutte le principali città del Sud sono sotto la parità, con alcune eccezioni: a Bari ci sono 102 occupati ogni 100 pensionati, a Matera 105, a Barletta 111.
Su questo record negativo pesa soprattutto il fatto che moltissimi giovani emigrano, oltre al tasso di disoccupazione più alto rispetto al resto del Paese. Secondo un’analisi dell’Istat di gennaio sulle criticità del Mezzogiorno, nel 2020 Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali (+22 nel Centro-Nord) e 56 su 100 in quelli esteri (49 nel Centro-Nord). Il fenomeno è più accentuato nelle province con bassa occupazione e nelle cosiddette aree interne.
Tra le città del Nord invece Genova e Torino superano di poco la soglia della parità. A Roma e a Milano ogni 100 pensionati ci sono 133 occupati. Il dato migliore è quello di Bolzano, dove ci sono 162 lavoratori attivi ogni 100 pensionati, mentre il dato peggiore si registra lontano dalle grandi città, in particolare in Piemonte (Asti, Alessandria, Vercelli) e in Liguria (Savona, Imperia), caratterizzata dal tasso record di popolazione anziana.
Stabilità del sistema pensionistico italiano a rischio
Il fragile equilibrio su cui si è retto finora il sistema pensionistico italiano a queste condizioni sembra destinato a saltare. A fronte di un continuo invecchiamento della popolazione, la crescita dell’occupazione, che pure a marzo ha raggiunto livelli record che non si vedevano dal 2004, non basta per garantire quel riequilibrio indispensabile per la tenuta del sistema.
Gli over 50 rappresentano infatti già il 39% degli occupati e, secondo un’analisi della Fondazione Di Vittorio (Cigl), il calo della popolazione e il suo invecchiamento nei prossimi 20 anni (+4,9 milioni gli over 65 e -900 mila gli under 15) faranno crollare ulteriormente il numero delle persone in età lavorativa, vale a dire quelle che hanno tra i 15 e i 64 anni di età, di 6,9 milioni di unità nel 2043.
Ma a pesare sul fragile equilibrio del sistema previdenziale italiano sono anche i prepensionamenti. Secondo i dati del decimo Rapporto annuale del Centro Studi Itinerari Previdenziali, guidato da Alberto Brambilla, presentati a gennaio, nel 2021 il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è leggermente migliorato: nel complesso oggi ci sono 1,42 lavoratori per “pagare” ogni pensionato (22,8 milioni di occupati per 16,1 milioni di pensionati), un rapporto ancora distante dal valore 1,5 considerato come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine. E l’INPS prevede che scenderà ad 1,3 nel 2029, con il serio rischio di arrivare a 1 nel 2050.
Come sottolineato dal Centro Studi guidato da Brambilla, la stabilità del sistema pensionistico italiano rischia di essere minata ulteriormente “dalle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero”. Per garantire la tenuta del sistema, il rapporto stima che sarebbe necessario ridurre, già nel 2023, le numerose forme di anticipo pensionistico a favore di una revisione duratura del sistema.