Gli eventi meteorologici estremi sono tornati al centro della cronaca dopo l’alluvione che ha travolto l’Emilia Romagna nei giorni scorsi. Un problema che negli ultimi mesi ha riguardato un po’ tutto il pianeta, nell’analisi vediamo quali “rimedi” ha adottato l’Italia per limitare i danni al Paese.
I casi più eclatanti in Italia
Le piogge torrenziali che hanno provocato la frana di Ischia, o il Po in secca durante i lunghi mesi senza pioggia, sono soltanto i casi più eclatanti. Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato in collaborazione con il gruppo Unipol, il 2022 ha visto un incremento del 55%, rispetto al 2021, di eventi estremi che hanno provocato danni e vittime. I dati sintetizzati nella mappa del rischio climatico elaborata dall’associazione ambientalista con l’Osservatorio CittàClima rilevano 310 fenomeni estremi, che hanno causato 29 morti e avuto impatti drammatici sull’economia e l’ambiente da Nord a Sud.
Il costo dei danni al pianeta
Non è andata meglio a livello globale, dove il meteo ha fatto danni costosissimi. L’organizzazione Christian Aid ha individuato gli eventi meteorologici estremi più costosi del 2022. Nel suo nuovo rapporto “Counting the cost 2022: a year of climate breakdown” ha identificato i dieci disastri climatici più costosi di quest’anno e stimato che tutti e dieci abbiano avuto un impatto pari o superiore a 3 miliardi di dollari. Tra questi, l’uragano Ian, che ha colpito gli Stati Uniti e Cuba a settembre, costando 100 miliardi di dollari e causando 40mila sfollati e le inondazioni in Pakistan che hanno ucciso più di 1.700 persone, ne hanno sfollate altre 7 milioni e, secondo le stime della Banca Mondiale, hanno causato danni economici per 30 miliardi di dollari. La siccità in Europa, da ultimo, è costata altri 20 miliardi di dollari.
I “rimedi” dell’Italia
In Italia sono stati due i piani messi appunto negli ultimi anni. Entrambi, tuttavia, non sono riusciti a cogliere nel segno e contrastare efficacemente il dissesto idrogeologico. Renzi aveva proposto Italia Sicura nel 2014. Il piano nacque per sbloccare fondi e cantieri delle opere decise per sanare i problemi creati dal dissesto idrogeologico, su tutto il territorio italiano. Cinque anni dopo il progetto renziano fu stoppato da Giuseppe Conte, che lanciò un nuovo piano, Proteggitalia. Quello che doveva essere “il più grande piano di messa in sicurezza, lotta al dissesto idrogeologico e prevenzione del nostro Paese, che per la prima volta ‘mette a sistema’, riportando a unità, una miriade di norme, interventi e risorse che fino ad oggi risultavano sparse”.
Conte lo presentò nel febbraio 2019. L’idea di base era la messa a sistema delle risorse che, per il triennio 2019-2021 erano pari a 10,8 miliardi di euro. Intenzioni ottime, sulla carta. Tuttavia, a ottobre 2021, in un comunicato stampa della Corte dei Conti si legge che: “Al netto dei ritardi conseguenti all’emergenza pandemica, il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, che ha mobilitato risorse economiche, nazionali e comunitarie, pari a 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030, destinate alle Regioni e agli enti locali, ha avuto il pregio di unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa“.
Insomma, dietro il disastro dell’Emilia Romagna, c’è una macchina organizzativa che non ha funzionato come è evidente. Al netto di fondi che però c’erano e sono stati stanziati. Perché i disastri meteorologici corrono molto più veloci della burocrazia italiana.