Economia

L’inflazione continua a pesare sul potere d’acquisto. Cosa fare

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

I consumatori continueranno ad essere alle prese con il rialzo dei prezzi. Secondo Confesercenti il tasso di inflazione rimarrà al di sopra del 2% fino ad almeno il 2025. Questa situazione brucerà letteralmente – nell’arco di dieci anni – il potere di acquisto delle famiglie per almeno 10 miliardi di euro. A risentirne sarà la crescita dei consumi e questo avrà una ripercussione immediata sugli eventuali benefici che potrebbero arrivare dalla tanto attesa riforma fiscale, la quale potrebbe risultare depotenziata.

A confermare, in certo senso, questo quadro sono i dati dell’Indicatore Consumi di Confcommercio, che nel corso del mese di aprile hanno registrato una variazione tendenziale che si è fermata su un +0,2%, che è stata determinata quasi esclusivamente dai servizi (+4,5%). A preoccupare, secondo Confcommercio, è la situazione relativa alla domanda di beni, che, complessivamente, hanno registrato un calo del’1,5%.

La bassa inflazione

Secondo Confesercenti l’era della bassa inflazione appare, a questo punto, completamente terminata. Il picco registrato nel corso del 2022, oggi come oggi, può apparire completamente ed interamente episodico e determinato da una serie di fattori esterni, tra i quali spicca lo shock energetico. Secondo Confesercenti la prospettiva è un’inflazione che rimarrà costantemente più elevata, rispetto a quella con la quale eravamo abituati a convivere fino a questo momento.

Cosa dobbiamo aspettarci a questo punto? Quello che potrebbe arrivare, secondo Confesercenti, è un tasso di aumento dell’indice dei prezzi pari al 5,7% nell’anno corrente, mentre per il 2024 sarà pari ad un +3,8% e ad un +2,8% nel 2025. Nel 2026 potrebbe riuscire ad attestarsi su un +2%: questa è, almeno comunemente, la soglia che viene considerata come un vero e proprio obiettivo per la stabilità dei prezzi.

Questo scenario avrà sicuramente delle conseguenze particolarmente pesanti sul potere d’acquisto delle famiglie. Prendendo in considerazione la perdita del potere d’acquisto registrata nel corso del 2022 e aggiungendovi quella che subirà mediamente nel periodo 2022-2025, dovrebbe essere pari al 16% del reddito disponibile. Per avere un termine di confronto, si consideri che nel quadriennio 2016-2019, l’erosione di potere d’acquisto provocata dall’inflazione era stata in media dell1,5%.

Secondo Confesercenti, “l’impatto inflazionistico sta inoltre rallentando il recupero dei livelli di consumo pre-pandemici, che nelle attuali condizioni non potrà essere completato prima del 2025. E si allontana sempre di più anche l’obiettivo di recuperare i livelli precedenti alla crisi finanziaria internazionale: se prendiamo a riferimento il valore dei consumi reali del 2007, a fine 2025 mancheranno ancora 18 miliardi. Questo perché, sempre a causa dell’alta inflazione, i consumi aumenteranno in termini cumulati di appena il 2,1% nel triennio 2023-2025, ossia di un insoddisfacente 0,7% annuo”.

L’impatto sugli investimenti

L’Istat ha stimato, lo scorso 16 maggio 2023, che nel mese di aprile 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,4% su base mensile e dell’8,2% su base annua, da +7,6% nel mese precedente; la stima preliminare era +8,3%.

Qual è l’impatto dell’inflazione sugli investimenti? Le banche centrali – prime tra tutte Fed e Bce – hanno assunto degli atteggiamenti restrittivi ed hanno avviato un ciclo di rialzo dei tassi di interesse a partire dalla scorsa estate. Il livello alto di restrizione monetaria introdotto direttamente dal rialzo dei tassi rappresenta uno strumento importante per tentare di raffreddare l’inflazione. La repentina stretta sul credito, però, ha causato alcuni risvolti negativi nel sistema economico e nell’economia reale. Questo è il motivo per il quale i mercati finanziari hanno registrato dei trend verso il basso e un vero e proprio aumento di volatilità, sia nei comparti azionari sia obbligazionari, aggravati da fattori esogeni e da un generale abbassamento del livello di fiducia dei risparmiatori.

L’unica strada da percorrere per proteggere i propri risparmi e tentare di battere l’inflazione è quella di avere un orizzonte temporale di medio o lungo periodo. In questo modo è possibile riuscire a tutelarsi contro l’aumento dei prezzi e la perdita del potere d’acquisto. L’immobilismo, a fronte di un costante aumento dei prezzi non paga: e questo gli italiani sembrano averlo capito. Durante la pandemia, almeno il 27% degli investitori italiani aveva scelto di tenere i propri risparmi sul conto corrente (19%) per difendersi dalle incertezze finanziarie, oggi la situazione è cambiata, con la quota di investitori che è salita al 34%, il 4% in più rispetto al 2019 (VII Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane). Inoltre, sono utili la diversificazione e l’attenzione ai rendimenti reali.