Economia

Fed, cosa farà con i tassi? Le aspettative degli analisti

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Oggi la Fed annuncia la propria decisione sui tassi. Li alzerà di nuovo o li lascerà bloccati e rimanderà tutto al prossimo mese? La decisione si preannuncia tutto tranne che scontata. Ricordiamo, infatti, che in occasione della riunione di politica monetaria di inizio maggio la Federal Reserve ha deciso all’unanimità di alzare i tassi di 25 punti base segnalando una pausa condizionale, ovvero la disponibilità a fermare il ciclo dei rialzi qualora le condizioni lo permettano. Ma vediamo che cosa si aspettano i più importanti analisti per la decisione della Fed.

Fed, un appuntamento importante

Secondo Erik Weisman, capoeconomista e gestore di MFS Investment Management, la Fed è proprio dove dovrebbe essere in questo momento. La banca centrale è riuscita ad aumentare i tassi d’interesse fino al target desiderato e ad escludere in larga misura i tagli per il resto dell’anno, senza sconvolgere l’economia statunitense, per ora almeno. La sofferenza del mercato nel 2022 è stata difficile sia per gli investitori azionari che per quelli obbligazionari, ma è stata necessaria per riportare i tassi a un livello più normale.

Il mercato prevede, con circa l’80% di possibilità, che la Fed a luglio aumenti i tassi di 25 punti percentuali. Erik Weisman ritiene che si tratti di un’ipotesi ragionevole e, a parte impennate imprevedibili dell’inflazione e nel mercato del lavoro, si tratterà probabilmente dell’ultimo rialzo. L’inflazione continua a scendere e Erik Weisman si aspetta che l’inflazione di base IPC sarà inferiore al 4% entro la fine dell’anno, con un’inflazione complessiva che potrebbe scendere anche al livello del 2 o 3%. Per quanto riguarda la disoccupazione, continua ad essere vicina ai minimi storici e, pur iniziando a salire, non desta alcuna preoccupazione immediata. Erik Weisman non ritiene che i recenti aumenti dei tassi in Canada e Australia spaventino la Fed, né prevede che la pubblicazione dell’IPC poco prima della riunione della Fed abbia un impatto sulla pausa di giugno.

Martina Daga, junior macro economist di AcomeA sgr, ritiene che la decisione della Fed sia tutt’altro che scontata. In occasione della riunione di politica monetaria di inizio maggio la Fed ha deciso all’unanimità di alzare i tassi di 25 punti base segnalando una pausa condizionale, ovvero la disponibilità a fermare il ciclo dei rialzi qualora le condizioni lo permettano.

Secondo Martina Daga, la domanda da porsi a questo punto è una: le condizioni macroeconomiche sono consistenti o meno con una pausa del ciclo restrittivo? Dai verbali della riunione, pubblicati qualche settimana dopo il meeting, è emersa una divergenza di opinioni all’interno del board circa la necessità di ulteriori aumenti dei tassi di riferimento dopo il rialzo di maggio. “Some participants” hanno riconosciuto la necessità, considerando la lentezza dell’inflazione a scendere verso il 2%, di ulteriori misure restrittive di politica monetaria. “Several participants”, invece, hanno notato che ulteriori aumenti, dopo il meeting di maggio, non dovrebbero essere necessari alla luce delle attuali prospettive.

La divergenza è emersa anche dalle recenti dichiarazioni pubbliche dei membri del board della Fed. Come osservato da Christopher Waller, membro del board della Fed, le opzioni sul tavolo della prossima riunione di politica monetaria sono: continuare con i rialzi; saltare un meeting e lasciare le porte aperte ad ulteriori aumenti in futuro; segnalare una pausa nel ciclo dei rialzi.

La decisione dipende dai dati

La politica monetaria si è spostata verso la dipendenza dai dati – almeno retoricamente – la scorsa settimana è stata caratterizzata da un’abbondanza di dati fondamentali, anche se mancano ancora alcuni comunicati cruciali nel caso della Bce in vista della riunione del Consiglio direttivo.

Gilles Moëc, Group Chief Economist di AXA Investment Managers, spiega che il Pil statunitense è cresciuto meno del previsto nel primo trimestre e, soprattutto, al di sotto del suo ritmo potenziale. Alcuni dettagli dipingono un quadro meno chiaro – gran parte della debolezza è derivata da un calo delle scorte, che può essere interpretato in molti modi – ma anche l’apparente forza dei consumi privati non dovrebbe far pensare alla Fed che l’eccesso di domanda sia ancora molto presente: gran parte di essa è derivata da un balzo a gennaio, con uno slancio molto minore nei due mesi successivi. Gilles Moëc aggiunge che è vero che l’indice del costo dell’occupazione per il primo trimestre ha suggerito che la pressione salariale rimane forte ma, insieme ai segnali che le turbolenze bancarie non si stanno completamente attenuando, probabilmente il flusso di dati complessivi a disposizione del Fomc sarà sufficiente a consolidare un rialzo di “soli” 25 punti base, con il suggerimento che il picco dei tassi potrebbe essere stato raggiunto.

Secondo Vince Gonzales, gestore di portafoglio a reddito fisso di Capital Group, con la potenziale fine dei rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve, l’anno in corso si preannuncia già favorevole per i rendimenti obbligazionari dopo un 2022 negativo. Gli investitori che lo scorso anno si sono precipitati a disinvestire, facendo impennare i livelli dei fondi del mercato monetario a 5.200 miliardi di dollari, potrebbero chiedersi se non sia giunto il momento di ritornare sui propri passi.

“La Fed ha alzato i tassi d’interesse di 0,25 punti percentuali all’inizio di maggio, in continuo rallentamento rispetto al ritmo degli aumenti dei tassi del 2022; rialzo che molti osservatori della Fed prevedono possa essere l’ultimo”, spiega Vince Gonzales. “Con la Fed prossima a una possibile interruzione o svolta, il mercato potrebbe trovarsi in un punto di inflessione. Ogni qualvolta si pensa alla fine di un ciclo di rialzi dei tassi e al potenziale inizio di un ciclo di tagli, la parte anteriore della curva dei Treasury tende a essere la più sensibile. Questo presenta opportunità di posizionamento sui tassi e sul credito”.

Secondo Vince Gonzales un grande interrogativo che gli investitori si pongono è quanto a lungo i rendimenti obbligazionari a breve termine possano rimanere a livelli storicamente elevati. Sebbene i rendimenti siano scesi lievemente dopo il crollo della Silicon Valley Bank, c’è ancora un potenziale di rialzo data la forza dell’economia statunitense, che potrebbe ostacolare un cambio di rotta della Fed. Gli operatori di mercato si sono in gran parte divisi in due schieramenti sulla possibilità che la Fed abbia portato a termine la sua missione di domare l’inflazione elevata.

Vince Gonzales ritiene che il mercato si aspetta che i tassi scendano lievemente, ma che continuino potenzialmente a generare rendimenti molto più alti rispetto al recente passato. Ciò offre la possibilità non solo di un apprezzamento dei prezzi, ma anche di un reddito interessante nel breve termine. Alcuni investitori potrebbero essere tentati dal temporeggiare il loro rientro sul mercato, osservando i rapporti sull’inflazione e la Fed in attesa di un segnale chiaro. Tuttavia, potrebbero scoprire di essersi persi un rimbalzo del mercato. Non appena emergono informazioni sulla dinamica dell’economia, il mercato si muove davvero molto rapidamente per recepire tali dati. Quando c’è chiarezza, il mercato potrebbe essersi già mosso.

Per gli investitori che continuano a nutrire timori sulla tempistica, l’averaging può rappresentare un modo interessante per rientrare nel mercato e perseguire opportunità di rendimento totale più elevate rispetto alla liquidità o a investimenti liquidi, a seconda degli obiettivi di investimento e della tolleranza a un rischio maggiore.