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PIR, è l’ora della rivalsa?

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Pensati come uno strumento per avvicinare il risparmio degli italiani all’economia reale tramite il meccanismo dell’esenzione fiscale, i PIR (Piani Individuali di Risparmio) non sembrano mai veramente decollati se si osservano dalla prospettiva dell’interesse dei risparmiatori.

L’ultima rilevazione trimestrale di Assogestioni, comprendente il resoconto sui PIR, conferma questa tendenza anche per quest’anno. Durante il primo trimestre 2023, infatti, i PIR hanno totalizzato 720 milioni di deflussi, di cui 779 milioni afferenti ai PIR ordinari a fronte dei +58 milioni raccolti dai PIR alternativi, per un patrimonio promosso complessivo di 19,34 miliardi di euro. Anche in aprile dai PIR ordinari sono defluiti circa -144 milioni, portando il saldo complessivo da inizio anno ad aprile a -923 milioni, dopo un dato negativo di -734 milioni nel 2022. Se si azzardasse un confronto con un altro strumento a cui i risparmiatori italiani sono affezionati, cioè i titoli di Stato, non passerebbe inosservato il fatto che, ad esempio, il BTP Valore ha raccolto oltre 18 miliardi di euro in soli 10 giorni, contro i 19,34 miliardi raccolti dai PIR in 6 anni, cioè da quando sono stati lanciati nel 2017.

Per questo motivo le banche e le principali reti di consulenza stanno riportando l’attenzione su un prodotto adatto a chi tiene a investire nel tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato da piccole e medie realtà, senza per forza rinunciare alla liquidità dei mercati finanziari e anzi beneficiando di agevolazioni fiscali.
Prime su tutte il Gruppo Intesa Sanpaolo e Banca Mediolanum, in testa alla classifica delle banche per patrimonio promosso in PIR con, rispettivamente, 4,8 e 4,1 miliardi di euro (pari al 24,8% e al 21,2% del patrimonio totale).

Nel frattempo, chi ha già creduto nella resilienza del listino tricolore è stato premiato in questa prima parte di anno: ricordiamo infatti che la Borsa italiana è stata la migliore in Europa nei primi sei mesi del 2023 (+32,78% la performance del FTSE Mib a un anno di cui +17,17% realizzata dal 1 gennaio 2023).

Anche i Piani Individuali di Risparmio, come tutti gli strumenti finanziari, non sono adatti a tutti i risparmiatori e vanno considerati nell’ottica di una più ampia diversificazione di portafoglio. Ciò significa che, essendo i PIR un investimento concentrato sul mercato italiano, soprattutto azionario, dovrebbero rappresentare solo una piccola percentuale del portafoglio di investimento di un risparmiatore e dovrebbero essere acquistati sono se in linea con le sue esigenze temporali di lungo periodo (10, 15 o 20 anni).
Il vantaggio dal punto di vista fiscale non deve infatti offuscare tutte le regole per una sana gestione del patrimonio finanziario, prima su tutte la scelta degli strumenti finanziari più adatti ai propri obiettivi, al proprio orizzonte temporale e al proprio profilo di rischio.

Ma in cosa consiste il vantaggio fiscale? Per capirlo, è utile iniziare dalla definizione di PIR.

PIR: definizione e differenze tra ordinari e alternativi

I PIR sono strumenti di investimento, di medio e lungo periodo e riservati alle persone fisiche, che danno diritto ad un trattamento fiscale agevolato a condizione che almeno il 70 per cento del portafoglio sia investito in azioni e obbligazioni emesse da società italiane e che si mantenga l’investimento nel Piano di Risparmio per almeno 5 anni. Lanciati in Italia nel 2017, hanno l’obiettivo dichiarato di indirizzare il risparmio privato verso le piccole e medie imprese italiane con il risultato auspicato di stimolare l’economia nazionale, motivo per cui il portafoglio del piano è appunto sovrappesato su titoli emessi da imprese italiane.

Nel dettaglio, nel PIR ordinario almeno il 70% del valore complessivo del piano deve essere investito, per almeno 2/3 dell’anno, in strumenti finanziari di imprese residenti in Italia o in altri Stati dell’UE o dello Spazio Economico Europeo (SEE), ma con stabile presenza in Italia. Inoltre, almeno il 25% di questo 70% deve essere investito in strumenti finanziari di imprese non incluse nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati. E almeno il 5% di questo 70% deve essere investito in strumenti finanziari di imprese non incluse né nel FTSE MIB né nel FTSE Mid Cap della Borsa italiana o indici equivalenti.

Su una singola società emittente, inoltre, non può essere investito più del 10% del PIR.

I PIR alternativi contengono una quota più elevata, pari ad almeno il 70%, di titoli emessi da società italiane di minore dimensione e negoziati su mercati poco liquidi (ad esempio l’Euronext Growth Milan di Borsa Italiana) o addirittura non quotati in alcun mercato. Si tratta quindi di strumenti più illiquidi e rischiosi rispetto ai PIR ordinari e per questo motivo sono indirizzati a investitori più sofisticati e più abbienti.

PIR precostituiti vs “fai da te”

Le modalità con cui costituire un PIR ordinario sono molto flessibili. I risparmiatori possono ricorrere a strumenti del risparmio gestito, come fondi comuni, contratti di assicurazione e gestioni patrimoniali, per i quali sono gli intermediari a occuparsi del rispetto delle condizioni necessarie a ottenere il beneficio fiscale. In alternativa, si può costituire un PIR “fai da te” attraverso l’apertura di un rapporto di custodia con un intermediario; in questo caso sarà il risparmiatore a farsi carico del difficile compito di rispettare le regole. La forma più diffusa di PIR è quella dei fondi di investimento, i cosiddetti fondi PIR o fondi “PIR compliant”.

Vantaggio fiscale

Se si mantengono gli strumenti nel piano per almeno cinque anni è prevista la totale esenzione sia dalla tassazione dei redditi di natura finanziaria derivanti dall’investimento (quindi la tassa sul capital gain maturato, interessi e dividendi) sia dall’imposta di successione. Ricordiamo che in Italia le rendite finanziarie sono generalmente tassate con un’aliquota del 26 per cento.

Per beneficiare dell’esenzione fiscale è previsto un limite all’ammontare massimo di fondi che ogni risparmiatore può investire in PIR. Ciascuna persona fisica può essere titolare di un solo PIR nel quale può investire non più di 40.000 euro all’anno (il minimo è di 500 euro), entro un limite complessivo di 200.000 euro. Essendo destinati a investitori più “qualificati”, i limiti massimi di investimento per i PIR alternativi sono invece più elevati: 300.000 euro l’anno per un valore complessivo non superiore a 1.500.000 euro. Ciascuna persona fisica può essere titolare di un solo PIR alternativo (che può eventualmente aggiungersi a un PIR ordinario).

Per il PIR alternativo, in relazione agli investimenti effettuati nel 2021 e nel 2022, si ha l’opportunità di trasformare una parte di eventuali minusvalenze, realizzate sugli strumenti finanziari detenuti per almeno 5 anni, in credito d’imposta utilizzabile in compensazione dall’IPERF o da altre imposte e contributi dovuti.

Le criticità da tenere a mente

I PIR ordinari sono investimenti poco liquidi e piuttosto rischiosi poiché contengono una quota elevata di azioni e obbligazioni di imprese anche di minori dimensioni e non quotate. Anche le quote di un fondo PIR, che normalmente investe in un numero di imprese relativamente ampio, rappresentano comunque uno strumento finanziario scarsamente diversificato perché la maggior parte dei titoli in portafoglio è emessa solo da società italiane.

Prima di costituire un PIR è quindi molto importante ricordarsi dei rischi finanziari a cui si va incontro, cioè le possibili perdite e i costi di smobilizzo dell’investimento, e del rischio di perdere il beneficio fiscale se si smobilizza l’investimento prima dei 5 anni.

Costi dei PIR

Quanto ai costi, i prodotti offerti dagli intermediari che garantiscono il rispetto delle regole, ad esempio i fondi PIR, propongono costi mediamente più elevati rispetto ad altri prodotti che hanno caratteristiche simili. Queste spese potrebbero annullare i vantaggi connessi al beneficio fiscale dei PIR e bisogna dunque prima fare un’attenta valutazione, magari con l’aiuto del proprio consulente finanziario di fiducia.