*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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(WSI) – La prima bolla di cui parliamo è quella dei crediti. E’ una bolla che ha raggiunto nel suo punto massimo proporzioni consistenti e che sta sgonfiandosi sotto i nostri occhi a grande velocità. Il mondo dei crediti è composto da tante cose. Ci sono i corporate bond tradizionali, i bond emergenti, gli asset backed (tra i quali i famigerati subprime).
Poi ci sono, cresciuti come funghi negli ultimi tempi, i finanziamenti (più o meno cartolarizzati) legati a operazioni di fusione e acquisizione di aziende (o a project financing), tra cui quelle promosse, in genere a leva elevata, da fondi di private equity, fondi hedge eccetera.
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Tutto questo mondo ha goduto in questi anni di condizioni sempre più favorevoli, con spread sempre più piccoli e tendenti a zero rispetto ai tassi dei titoli governativi e disponibilità molto abbondante di liquidità. Di queste condizioni si è usato e abusato. Molto si moraleggia in questi giorni sull’avidità dei prenditori, ma se si vuole metterla sul piano delle colpe ci sembra che ne abbiano di più i finanziatori. Tra questi non ci sono infatti vedove incaute e orfani ingenui bensì istituzioni finanziarie real money di ogni tipo, sicuramente maggiorenni e dotate di uffici studi a volte sontuosi.
Tra i finanziatori il mercato sta punendo in questa fase soprattutto le banche d’investimento, perché sono l’obiettivo più facile. In realtà, come dicevamo, è il real money finale che alla fine risulterà colpito. Le banche d’investimento sono soprattutto originatori che collocano sul mercato. Certamente avranno qualcosa in magazzino e certamente subiranno un certo rallentamento di alcune loro attività nei prossimi mesi, ma non per questo le loro prospettive sono diventate improvvisamente fosche.
Lo scoppio della bolla dei crediti sta avvenendo comunque con una certa razionalità. Gli emergenti, che godono di fondamentali eccellenti, sono meno colpiti e chi gode di un flusso di notizie particolarmente positivo, come in questi giorni Islanda e Turchia, ne beneficia come in tempi normali. Anche nel mondo corporate c’è una certa selettività, anche se si nota qua e là un certo accanimento, per esempio sui finanziari. L’emotività prevale invece tra i collateralizzati e, in queste ore, nel mondo dei buyout a leva, dove l’avversione al rischio è completa e i finanziatori, fino a tempi recenti ansiosi di comprare a qualsiasi spread, sono spariti nella foresta.
Il senso di quello che avviene ci sembra questo. Non siamo al capolinea dei crediti. Non siamo alla vigilia di un bear market drammatico come quello seguito allo scoppio della bolla del 2000. Non siamo però nemmeno a un banale incidente di percorso, a un’ondata di paura momentanea destinata a rientrare completamente. Siamo a un repricing una tantum, più che dovuto, destinato a restare ma non ad aggravarsi oltre. Nelle aree più colpite, a partire dai famigerati subprime, c’è probabilmente da rovistare per comprare, non per vendere.
Quanto al mondo delle fusioni e acquisizioni, il blocco attuale è assolutamente temporaneo. Certo, le condizioni ideali di liquidità abbondante e a buon mercato non si daranno più fino al prossimo ciclo, ma quella che si apre è una fase più normale in cui viene reintrodotta una sana selettività nelle operazioni che verranno impostate.
Qualcuno si sta certamente facendo male, ma nel grande schema delle cose quello che sta avvenendo, come ha detto Trichet, è salutare. Le bolle del credito provocano un’allocazione altamente inefficiente delle risorse. Capitali che potrebbero essere impiegati in investimenti produttivi o restituiti agli azionisti vengono gettati in operazioni di profittabilità sempre più dubbia. Una stretta data adesso, per dolorosa che sia, è infinitamente meglio di quello che sarebbe accaduto più avanti se la mancanza di selettività si fosse protratta.
La seconda bolla di cui vogliamo parlare è quella dei bond governativi. Questa bolla è più grande nelle dimensioni, perché insiste su un mercato più ampio di quello dei crediti, ma è di intensità meno pronunciata. Rispetto al grado di maturità dell’espansione i bond governativi, in particolare la parte lunga della curva, rendono ancora poco. Dato che l’inflazione è ancora sotto controllo e dal momento che i rendimenti reali quest’anno sono saliti la sopravvalutazione non è drammatica, ma c’è.
La pesante correzione dei crediti ha spinto liquidità sui governativi. Nel breve ha senso, ma non appena la situazione dei crediti si sarà normalizzata la pressione riprenderà. Non parliamo di un bear market lungo e doloroso, ma di correzioni one-off, come quella di maggio/giugno, di entità sopportabile e distanziate nel tempo tra loro. In mancanza di un term premium significativo i bond governativi lunghi dovrebbero continuare a essere sottopesati. Cash e equity rimangono preferibili.
La terza bolla da considerare è quella azionaria. E’ piccola e qualcuno ne contesterà subito l’esistenza. In realtà si tratta di una bolla iniziale, con pochi mesi di vita e non pericolosa. Quello che vogliamo sottolineare e che, per quanto graziosa e minuscola, sempre bolla è. Gli utili che stanno uscendo in America, pur essendo al di sopra delle stime, sono del 7.0% superiori a quelli di un anno fa a quest’epoca, quando l’S&P 500 era del 19% più basso. L’espansione dei multipli è evidente.
Non bisogna spaventarsi per questa situazione. E’ assolutamente fisiologica e può benissimo essere cavalcata ancora per qualche trimestre a condizione di essere consapevoli della possibilità crescente di correzioni fastidiose ma temporanee.
Detto questo, in questa fase estiva e nel primo autunno difficilmente vedremo rialzi significativi. Saranno semmai più probabili momenti di paura, sbandamenti e consolidamenti. Lavorare con gli stop loss in un mercato così significa perdere soldi più che guadagnarne. In caso di correzioni pronunciate bisognerà però avere il coraggio di comprare, anche se si è già investiti.
Il mondo, infatti, sta continuando a vivere una condizione di crescita impetuosa, a tratti esaltante. La produzione industriale cinese nel secondo trimestre è cresciuta a una velocità annualizzata del 29% (parliamo della seconda potenza manifatturiera del mondo). Il Fondo Monetario ha alzato oggi le stime della crescita globale per il 2007 e per il 2008, portando entrambe al 5.2%. Quanto all’inflazione, il Fondo prevede una crescita impercettibile nei paesi avanzati (il 2.1 nel 2008 contro il 2.0 di quest’anno e il 2.3 dell’anno scorso) e una discesa nel resto del mondo.
Nei giorni bui, quando azioni e crediti scendono spaventati, bisogna riguardarsi queste cifre. Con un’espansione di queste dimensioni c’è quasi da meravigliarsi che le borse quotino 15 volte gli utili 2008 e non 18 o 20. Meglio così, naturalmente. Più è occhiuta la sorveglianza dei policy maker su crediti e borse e maggiore è l’autocontrollo dei mercati più a lungo ci terremo lontani da crash e default di tutti i tipi.
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