Economia

Evergrande dichiara bancarotta, e il destino della Cina è sempre più cupo

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Inizia l’inverno per la Cina, un brutto inverno in cui Evergrande non ci sarà. Il principale promotore immobiliare cinese alla fine non ce l’ha fatta, e ha chiesto istanza di bancarotta in un tribunale a Manhattan. Grazie all’ex capitolo 15 del codice fallimentare, Evergrande si autotutela dal rischio di cause e blocco dei beni da parte dei creditori. Creditori che rimarrebbero così a bocca asciutta, e difficilmente potrebbero rientrare dei 330 miliardi di dollari di debiti accumulati dall’ammiraglia dell’espansione immobiliare cinese.

Ma anche davanti a questa autotutela legale, Evergrande non potrà proteggere la Cina. Col suo fallimento il Dragone rischia di ritrovarsi nudo, e di vedersi sgretolare sotto i propri piedi uno dei settori di punta della sua economia da 20 trilioni di dollari. Come se non avesse altri problemi la Cina, tra disoccupazione giovanile, deflazione (se non stagflazione) e calo del PIL. Nel corso dei prossimi mesi la Cina dovrà cominciare ad agire in maniera molto prudente, se non vuole ritrovarsi in balìa di una crisi interna talmente grave da destabilizzare il paese.

Evergrande in bancarotta, ma si protegge in tribunale

Al tribunale fallimentare di Manhattan, i legali di Evergrande hanno presentato l’istanza di bancarotta secondo quanto previsto dall’ex capitolo 15 del Codice Fallimentare degli Stati Uniti. Una mossa molto intelligente, perché con quella guarentigia, l’azienda, seppur non statunitense, non potrà subire né cause né blocchi dei beni durante la fase di ristrutturazione del debito. Non saranno felici i creditori, visto che la passività dell’azienda ha ormai raggiunto i 330 miliardi di dollari. E che ha portato negli ultimi anni, come riferisce Reuters, una serie di inadempienze con altri costruttori, che hanno portato a migliaia di case non finite in tutta la Cina (le cosiddette tofu houses).

Per la precisione, tra il 2021 e il 2022 Evergrande ha registrato una perdita combinata di 81 miliardi di dollari, al punto che recentemente una sua controllata, China Evergrande New Energy Vehicle Group, ha annunciato la propria proposta di ristrutturazione: uno scambio di debito per 2,7 miliardi di dollari e una vendita di azioni di quasi 500 milioni di dollari. A questo si aggiunge anche la richiesta di ottemperare agli oneri offshore, ovvero ai vari bond, garanzie e obblighi di riacquisto non rispettati: un altro debito di 31,7 miliardi di dollari.

E in più anche il problema con la China Securities Regulatory Commission (l’autorità di vigilanza e regolamentazione sui titoli) nei confronti di un’altra sua controllata, la Hengda Real Estate, il suo core business immobiliare. L’accusa è di sospetta manipolazione dei dati finanziari: non era quotata in Borsa, eppure l’azienda ha emesso altri bond e raccolto finanziamenti. Nonostante l’azienda fosse già in crisi dopo la stretta dei prestiti bancari nel 2021 per bloccare il debito. In poche parole, Evergrande è diventata una grande bomba ad orologeria non solo per i propri stakeholders e azionisti, ma anche per l’economia cinese.

La bolla immobiliare cinese è esplosa: il caso della Country Garden

Il punto di raccordo tra il fallimento di Evergrande e la bolla immobiliare cinese è nel fatto che, oltre all’istanza fallimentare a Manhattan, i legali della holding abbiano chiesto il riconoscimento dei colloqui di ristrutturazione in corso a Hong Kong, nelle Isole Cayman e nelle Isole Vergini britanniche. Il debito non era solo tra Stati Uniti e Cina, ma altrove. Una specie di contagio debitorio, una prova concreta che il settore immobiliare aveva una bolla, e che ora è esplosa. Infatti, subito dopo l’istanza di Evergrande, gli occhi degli investitori si sono rivolti ad un’altra holding immobiliare, la Country Garden. Perché nemmeno lei sta bene.

Sviluppatore leader e promotore immobiliare secondo solo a Evergrande, Country Garden sta mettendo in guardia i suoi investitori per il suo recente inadempimento. Quello dello scorso 6 agosto, su cedole di obbligazioni per 22,5 milioni di dollari. Non ha pagato gli interessi, e l’azienda ora viene vista a rischio: molti temono che sia nel bel mezzo di un possibile default, e che anche lei dichiarerà istanza entro il mese di settembre. Se salta anche lei, la Cina dovrà correre ai ripari. Ed è strano che non l’abbia già fatto, considerando che dall’inizio della crisi del settore immobiliare, le società che rappresentano il 40% delle vendite di case cinesi sono fallite.

Tutto ciò si riflette anche sul prezzo delle case. Quando una bolla immobiliare scoppia, il prezzo delle case è il primo a subire i canni. Ma secondo il governo cinese, i prezzi delle nuove case sono scesi solo del 2,4% rispetto al massimo dell’agosto 2021, mentre quelli delle case esistenti sono diminuiti del 6%. Numeri che fanno insospettire, infatti Fortune presume che i prezzi delle case esistenti tendano invece a diminuire di almeno il 15% nei quartieri principali delle principali aree metropolitane come Shanghai e Shenzhen. Mentre in zone come Hangzhou arrivino a diminuire di circa il 25% rispetto ai massimi della fine del 2021. Anche il problema della raccolta dati metterà la Cina sempre più all’angolo, visto che con una metodologia incapace di cogliere l’andamento di mercato rischia di non poter tutelarsi in tempo. E di vedere le tensioni che sta vivendo il Paese crescere ancora di più.

Economia Cina: una bomba ad orologeria?

All’indomani della pubblicazione dei dati macroeconomici sull’economia della Cina, il presidente USA Joe Biden commentò in maniera molto salace: la Cina sta diventando una bomba ad orologeria. E questo perché l’economia sta effettivamente in crisi. Le vendite al dettaglio, indicatore chiave dei consumi, sono salite del 2,5% annuo a luglio, in calo sul 3,1% di giugno. La produzione industriale è al 3,7%. L’inflazione è allo 0%, in zona deflazione, e col rischio che parta una stagflazione nei prossimi mesi. Più il peggiore dei dati, la disoccupazione giovanile, al punto che lo stesso Ufficio Nazionale di Statistica ha dato ordine di interrompere la diffusione dei dati per “migliorare e ottimizzare ulteriormente le statistiche dell’indagine sulla forza lavoro“.

Infatti il dato di giugno era al 21,3%, per i senza lavoro tra i 16 ei 24 anni, su una disoccupazione complessiva è salita dal 5,2% al 5,3%. E con un Pil trimestrale in salita dello 0,8%, contro una previsione dell’1,4% e un dato precedente del 2,2%, è chiaro che molti temono che il Dragone passerà un inverno molto freddo. Eppure il Governo Cinese rimane determinato nei suoi obiettivi per incentivare i consumi interni ed evitare così la deflazione: un piano in 20 punti per incoraggiare i cittadini a spendere di più in settori quali veicoli, turismo ed elettrodomestici. C’è ottimismo all’interno del Partito, la Cina continuerà ad espandere consumi e investimenti, anche se è a rischio l’obiettivo di crescita il “circa il 5%” per l’anno in corso. Anche se deve fare molta attenzione al fenomeno delle banche ombra.

Diretta conseguenza della crisi immobiliare, sono imprese fuori dai circuiti bancari tradizionali, che però hanno finanziato in maniera ponderosa il settore immobiliare. In cambio, si sono ritrovati con dei mancati pagamenti, come quello dell’8 agosto a carico della Zhongzhi Enterprise Group, e con una previsione di ulteriori ritardi su almeno un’altra decina dalla fine di luglio. Si tratta di difficoltà che amplificano quelle vissute dall’economia.

La reazione dei mercati

E non solo quella cinese, anche le borse europee e giapponesi non la stanno vivendo bene. Dopo la chiusura del Nikkei di ieri con un calo dello 0,55%, anche le borse europee partono male, con i principali indici tutti già in rosso, tra il FTSE MIB all’-1% fino al CAC di Parigi all’-1,15%. Al momento solo l’IBEX di Madrid è quello meno segnato, con -0,91%.