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Tassa sugli extraprofitti, quali conseguenze per i titoli di Stato?

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Torna a far discutere la tassa sugli extraprofitti delle banche, proposta dal Governo lo scorso 7 agosto all’interno del Decreto Omnibus, con gravi contraccolpi in borsa sui titoli bancari. In un’intervista pubblicata oggi su “Il Sole 24 Ore”, la premier Giorgia Meloni si è “assunta la responsabilità politica della decisione” e ha spiegato:

“Tassare quel margine è una cosa di buon senso. Non c’entra con certi commenti che ho letto, ‘volete tassare la ricchezza guadagnata’. No. Io non tasserò mai il legittimo profitto imprenditoriale e agirò sempre per aiutare a creare ricchezza. Però non intendo difendere le rendite di posizione“.

Le conseguenze sulle banche della tassa sugli extraprofitti

La tassa sugli extraprofitti avrà un impatto sulle banche e sui loro clienti, in particolare sui sottoscrittori di prestiti e mutui. Lato istituti di credito, la nuova tassa porrà una pietra tombale sui risultati record delle banche, ha avvertito l’agenzia Scope Ratings. Moody’s ha stimato che la tassa eroderà il 15% dell’utile netto totale del settore bancario per il 2022. Fitch ha calcolato che il prelievo genererà un gettito di 2,5-3 miliardi di euro, in gran parte a carico delle maggiori banche commerciali, ma ha rassicurato che l’imposta non avrà alcun impatto sul rating degli istituti di credito.

L’impatto sui risparmiatori

Per quanto riguarda i risparmiatori, la tassa sugli extraprofitti avrà ripercussioni solo sulle rate dei mutui variabili dell’ordine dello 0,5% (da aggiungere ai rincari ulteriori della rata portati dal rialzo dei tassi da parte della Bce a fine luglio 2023). Incerti gli effetti sui prestiti (che potrebbero calare o vedere innalzare i tassi d’interesse) e sui conti correnti (i cui tassi potrebbero salire oppure le banche potrebbero rivalersi sui correntisti incrementando le commissioni).

Gli effetti sui titoli di Stato della tassa sugli extraprofitti

Ma la nuova tassa mette a rischio anche i titoli di Stato. La questione è stata sollevata nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha fatto notare che, per come è stata strutturata, la tassa sugli extraprofitti colpirà anche i rendimenti delle obbligazioni, comprese pertanto quelle governative. Un’imposta indeducibile del 40%, che si aggiunge alla preesistente imposta del 26% sugli strumenti finanziari, che sono così tassati 2 volte. In questo modo, lo Stato Italiano scoraggia le banche dall’acquistare i suoi titoli di Stato e comprende nella definizione di “extraprofitti” anche la remunerazione ai sottoscrittori delle sue obbligazioni, lasciando intendere che li paga troppo, quando quelli acquistati tempo fa, con i tassi vicini allo zero, avevano rendimenti molto bassi. Il ministro Tajani, intervistato sempre da “Il Sole 24 Ore”, si è detto preoccupato e ha auspicato:

“Bisogna scrivere bene la norma affinché produca un effetto positivo sui conti dello Stato senza creare problemi al nostro sistema economico-finanziario e al bilancio dello Stato”.

A suo avviso, occorre “tutelare le banche di piccole dimensioni che non possono essere messe sullo stesso piano delle banche più grandi. Altro aspetto da modificare è la parte inerente l’aggravio di tassazione sui titoli di Stato, escludendoli. Poi l’introduzione della deducibilità di questa tassa, non consentita dalla norma, e l’indicazione che l’imposta è una tantum”.

L’impatto sulla concorrenza

Infine, la tassa sugli extraprofitti ha effetti distorsivi sulla concorrenza tra banche. A differenza della tassa spagnola, quella italiana colpisce tutte le società con licenza bancaria, penalizzando le grandi banche. I gruppi di credito cooperativo sono tassati a livello di ogni singola banca e poi di gruppi. Inoltre, sono ulteriormente penalizzati dal fatto che per legge investono la liquidità soprattutto in titoli di Stato. Per questi motivi, gli acquisti delle banche alle prossime aste di obbligazioni governative potrebbero essere inferiori.