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Asia, sempre più in crisi tra maltempo e immobiliare. Clima più forte dell’economia?

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Non c’è pace per l’economia dell’Asia. Nemmeno la breve tregua relativa alla lieve ripresa dei mercati immobiliari ha portato giovamento ad un’area che a causa del maltempo e delle continue inondazioni rischia così tanti blocchi delle esportazioni da portare in futuro ad una perdita stimata attorno ai 65 miliardi di dollari. Una cifra che potrebbe risultare decisamente pericolosa per il buon andamento del PIL di realtà come la Cina e l’India, che si prestato a diventare i nuovi poli economici del mondo – l’una a scapito dell’altra.

Ma sarà difficile avere un buon andamento finanziario se i paesi attorno, da cui dipende parte dei tuoi settori, non possono più venire incontro alla tua produzione, come segnala un recente studio della Schroders e della Cornell University. A questo si aggiunge anche la pubblicazione dei dati sull’inflazione USA: ancora prima della pubblicazione le borse asiatiche erano già in fermento. Un risultato non all’altezza delle aspettative potrebbe non giovare alla situazione critica in cui versa l’economia asiatica.

Economia Asia, a rischio 65 miliardi di dollari entro il 2030

Negli ultimi giorni l’Asia è stata teatro di diversi eventi meteorologici importanti, ma al momento non hanno portato notevoli danni all’export. Il problema è per il futuro, se questi eventi dovessero aumentare di frequenza. Se il cambiamento climatico vince sull’economia dell’Asia, è inevitabile un danno permanente, e la stessa ricerca di Schroders e Cornell University sostiene il rischio di una perdita notevole per l’assetto finanziario asiatico, anche in termini di posti.

Solo per ben 4 paesi asiatici, quali Bangladesh, Cambogia, Pakistan e Vietnam, si stima che il caldo estremo e le inondazioni potrebbero cancellare entro il 2030 oltre 65 miliardi di dollari di provenienti dalle esportazioni di abbigliamento di ben 6 marchi di abbigliamento globali. Per la precisione, il calo complessivo della produttività comporterebbe a un calo del 22% negli utili previsti tra il 2025 e il 2030, e alla creazione di 950.000 posti di lavoro in meno. Come riportato da Reuters, il problema in questo caso non è risolvibile con soluzioni quali la mitigazione, la riduzione delle emissioni e il miglioramento del riciclaggio. Perché qui il problema riguarda l’aumento delle temperature e le continue inondazioni.

La stessa Schroders, multinazionale che gestisce oltre 700 miliardi di sterline (874 miliardi di dollari) di asset, sta cercando di informare le aziende riguardo alle loro informative sulla situazione climatica in Asia. Se però i governi locali, anche quelli cinesi e indiani, non provvederanno in tempo a salvaguardare l’export da maltempo e inondazioni, si rischia entro il 2050 di mettere in crisi un settore che in quei quattro paesi rappresenta il 18% delle esportazioni globali di abbigliamento e impiega 10,6 milioni di lavoratori nelle fabbriche di abbigliamento e calzature. Perché entro il 2050, i mancati proventi delle esportazioni raggiungerebbero il 68,6% e ci sarebbero 8,64 milioni di posti di lavoro in meno.

L’immobiliare cinese rimane un rischio per l’economia dell’Asia

Dopo l’iniziale preoccupazione dei mercati in merito al caso Evergrande, negli ultimi tempi c’è stata una piccola tregua, almeno a livello azionario. Sebbene avesse registrato al suo rientro nelle borse asiatiche un crollo azionario pari all’80%, nelle ultime sedute il titolo di Evergrande è riuscito a recuperare diversi punti, fino al 70%. E così anche il titolo di Country Garden, indagata speciale dopo il mancato pagamento di alcuni bond quasi un mese fa: alla fine il colosso immobiliare cinese ha ottenuto ulteriori proroghe per i pagamenti dei bond.

Ma nonostante il balzo di oltre 11%, dopo aver ottenuto l’approvazione da parte di alcuni possessori di obbligazioni a prorogare i pagamenti per tre anni, evitando così il default, la situazione della prima tra le economie in Asia risulta comunque debole. Si veda l’apertura di oggi delle borse. L’indice CSI 300 di Shanghai Shenzhen e l’indice Composite di Shanghai sono scesi, rispettivamente, dell’1,56% e dello 0,89%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong ha perso lo 0,07%.

Malgrado la lenta ripresa di un settore che in Cina determina oltre il 30% del PIL, il sentiment nei confronti della Cina è rimasto in gran parte negativo. Perché la as non vuole affrontare né la crisi che potrebbe abbattersi in futuro nelle shadow banks, tutte esposte per circa 3.000 miliardi di dollari a causa dei debiti immobiliari, né l’attuale situazione in cui versa il suo settore manifatturiero, che si è contratta per il quinto mese consecutivo ad agosto 2023, secondo gli indici PMI ufficiali pubblicati dal National Bureau of Statistics.

L’unica cosa che ha affrontato è stata quella di sostenere ancora di più il settore. Cosi facendo, è salito lo yuan cinese dello 0,1%, rimanendo così al di sopra dei minimi degli ultimi dieci mesi. Ma si tratta di una misura tampone, basata sulla vendita dei dollari per assorbire liquidità in yuan. Se però il debito dovesse scoppiare, la Cina potrebbe non poter garantire più l’interdipendenza che si è creata negli anni con altri paesi asiatici (es. Malesia), mettendo in ginocchio l’economia di tutta l’Asia. O al servizio dell’India, che diventerebbe il nuovo polo economico.

I dati dell’inflazione USA agitano tutti i mercati

A pregiudicare ulteriormente la situazione potrebbero esserci i dati sull’inflazione USA. Da tempo si teme in un nuovo aumento dell’inflazione ad agosto, rispetto al mese precedente. E in effetti c’è stato. Come riportato da CNBC, l’inflazione USA di agosto segna un 0,6% in più, portando quella annuale a 3,7%, mentre quella core (esclusi prodotti alimentari volatili ed energia) è aumentata dello 0,3% su base mensile, e 4,3% su base annua. Ben al di sopra di tutte le aspettative, che davano la prima sì con un aumento dello 0,6%, ma con una base annuale al 3,6%, mentre la core era stimata a 0,2% e 4,3%.

Un aumento non robusto, ma che metterebbe in allerta la FED, visto che temevano un aumento nel mese di agosto a causa dei rincari energetici. Probabilmente i nuovi dati la metteranno nelle condizioni di dover alzare di nuovo i tassi d’interesse. Anche se la FED, e soprattutto il suo capo Jerome Powell, ha ancora tempo una settimana per valutare l’opzione dei rialzi: la seduta è prevista per il 20 settembre.

È comunque ovvio che anche senza alcuna nuova mossa della FED, i mercati si agiteranno notevolmente per i prossimi giorni, soprattutto quelli asiatici. Si ricordi come a inizi agosto, alla pubblicazione del downgrade di Fitch sugli Stati Uniti i mercati azionari dell’Asia e del Pacifico avevano registrato delle perdite.