di Otto Panzer
Da anni viviamo con l’incubo del riscaldamento globale. Ma un’altra minaccia, ancora più immediata, potrebbe essere la fame globale: sempre meno prodotti alimentari disponibili, sempre più cari, contesi da una popolazione terrestre sempre più grande, in un periodo già reso critico da risorse idriche sempre più scarse e da un clima sempre più imprevedibile.
“La fine del cibo”, riassume il titolo del Guardian di Londra, puntando il dito contro un fenomeno che sta accelerando il deficit alimentare: sempre più terre, in America e in Occidente ma anche nel resto del pianeta, finora utilizzate per coltivare prodotti agricoli, adesso vengono adibite alla coltivazione di biocarburi, come l’etanolo e altri carburanti “puliti”, sia per ridurre l’inquinamento atmosferico, sia per ridurre la dipendenza dall’energia petrolifera di un esplosivo e instabile Medio Oriente. E’ questo, sostengono gli esperti, il fattore scatenante dell’aumento dei prezzi del cibo. Aggiungendovi il declino delle acque, i disastri naturali e la crescita della popolazione, ammonisce il quotidiano londinese, si arriva a “una ricetta per il disastro”.
Lester Brown, presidente della think-tank Worldwatch Institute e autore del best-seller “Chi sfamerà la Cina?”, presenta così la questione: “Siamo di fronte a un’epica competizione per le granaglie tra gli 800 milioni di automobilisti del pianeta e i due miliardi di poveri della terra”. Come in quasi tutte le sfide tra ricchi e poveri, non è difficile immaginare chi la stia vincendo.
Esortati dal presidente Usa, George W. Bush, a produrre entro dieci anni un quarto dei carburanti non fossili di cui necessitano gli Stati Uniti, migliaia di agricoltori americani stanno trasformando il “granaio d’America” in una immensa tanica di biocarburi. L’anno scorso già il 20 per cento del raccolto di granoturco statunitense è stato usato per la produzione di etanolo, i cui stabilimenti raddoppiano di anno in anno. Una politica analoga è in corso un po’ ovunque, dall’Europa all’India, dal Sud Africa al Brasile. Diminuendo la terra destinata alla coltivazione di grano, il prezzo del frumento è aumentato del 100 per cento dal 2006 e ciò sta portando ad aumenti da record dei prezzi dei generi di prima necessità: pane, pollo, uova, latte e carne.
Ad accrescere le preoccupazioni di Brown c’è il boom demografico ed economico di Cina e India, i due giganti in cui vive il 40 per cento della popolazione mondiale: anche perché cinesi e indiani stanno abbandonando la loro tradizionale dieta ricca di verdure a favore di un’alimentazione più “americana”, che contiene più carne e latticini.
Non tutti condividono gli scenari catastrofici. “Il Brasile ha tre milioni di chilometri quadrati di terra arabile, di cui solo un quinto è attualmente coltivato e di cui solo il 4 per cento produce etanolo”, dice il presidente brasiliano Lula da Silva. Ma le Nazioni Unite calcolano che la richiesta di biocarburi aumenterà del 170 per cento solo nei prossimi tre anni. Ci sarà abbastanza cibo per tutti? O presto verrà il giorno in cui dovremo scegliere tra una pagnotta e un pieno di biocarburanti per la nostra auto?