Economia

Petrolio verso i 100 dollari al barile, una minaccia per l’inflazione e le banche centrali

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La corsa del petrolio non si arresta, alimentando i timori di continue pressioni rialziste sui prezzi energetici e, quindi, di una discesa dell’inflazione più lenta del previsto. Un tema che rischia di complicare il compito delle banche centrali, con la prospettiva di tassi di interesse ancora elevati per un lungo orizzonte temporale.

Petrolio ai massimi da 10 mesi

Il petrolio è salito su livelli che non vedeva dallo scorso novembre, con il Brent in area 95 dollari al barile e il Wti oltre i 91 dollari. Negli ultimi tre mesi, i due benchmark del greggio evidenziano un rialzo rispettivamente pari al 25% e al 30%.

Il mercato si trova in una fase di backwardation, ovvero una situazione in cui il prezzo cash (consegna immediata del sottostante) è superiore ai prezzi futuri impliciti nei corrispondenti contratti futures, sintomo che la domanda è tanto forte da giustificare un sovrapprezzo per avere subito la materia prima.

Negli ultimi mesi si è verificato un ampliamento dello spread fra diverse scadenze temporali; ad esempio, sui tre mesi, la differenza tra i prezzi cash e quelli futuri è passata da 1,26 dollari di un mese fa a oltre 4 dollari attuali. Lo spread fra dicembre 2023 e dicembre 2024 si avvicina addirittura ai 10 dollari al barile.

I tagli di Arabia e Russia spingono il petrolio

L’impennata del greggio è stata innescata soprattutto dai tagli all’offerta implementati dai Paesi principali dell’Opec+. Arabia Saudita e Russia hanno esteso fino alla fine del 2023 le riduzioni delle forniture per circa 1,3 milioni di barili al giorno, con l’obiettivo dichiarato di far diminuire le riserve e innescare un rimbalzo dei prezzi.

Ieri, il ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ha dichiarato che il cartello lavora per mantenere stabili i mercati e migliorare la sicurezza energetica, senza un obiettivo specifico di prezzo e con l’impegno a riesaminare mensilmente i prezzi di produzione.

Le stime indicano un mercato in deficit fino a fine anno

L’Opec ha anche diffuso le stime per il quarto trimestre 2023, in cui indica un deficit globale di oltre 3 milioni di barili al giorno. Anche importanti organizzazioni del settore, come l’Aie e l’Eia, hanno previsto una produzione insufficiente a soddisfare la domanda nella parte finale dell’anno, inducendo diversi operatori a stimare un rialzo dei prezzi.

In tale contesto, l’esposizione netta dei fondi di investimento su posizioni lunghe è salita ai massimi da oltre un anno.

Sul rialzo dell’oro nero hanno inciso anche le migliori prospettive economiche sull’economia statunitense, che verosimilmente non entrerà in recessione, mentre persistono le incognite sulla crescita, e quindi sulla domanda di petrolio, da parte della Cina.

Petrolio verso i 100 dollari al barile

La contrazione del mercato petrolifero ha innescato una raffica di previsioni rialziste sui prezzi del barile, che potrebbe superare i 100 dollari.

Un evento che potrebbe materializzarsi “in un futuro non troppo lontano” secondo gli esperti di ING, “considerati i fondamentali costruttivi e il sentiment più positivo.” Tuttavia, questo “sarebbe probabilmente insostenibile e porterebbe a crescenti pressioni politiche, mentre i Sauditi e l’Opec in generale non vorranno spingere il mercato troppo in alto, dati i rischi potenziali di distruzione della domanda.”

Per Vontobel, “è possibile un ulteriore rialzo dei prezzi del petrolio, mentre il ribasso è protetto non solo dall’OPEC, ma anche dal governo statunitense, che intende ricostituire le sue riserve di emergenza di petrolio un po’ alla volta, puntando a un prezzo intorno ai 70 dollari, che essenzialmente fornisce un altro strato di sostegno a un possibile prezzo minimo.”

Le implicazioni nella lotta all’inflazione

L’impennata dei costi energetici rischia dunque di infiammare nuovamente le pressioni inflazionistiche, proprio in un momento in cui diverse banche centrali stanno ponderando se spingersi ancora più in là con i rialzi dei tassi o mantenerli sui livelli attuali.

In quest’ottica, gli operatori osserveranno con particolare attenzione le riunioni di questa settimana, a partire da quella della Fed, che domani sera comunicherà le proprie delibere in tema di politica monetaria. La Bce, dal canto suo, ha appena aumentato il costo del denaro di altri 25 punti base, alzando le stime di inflazione per quest’anno e il prossimo proprio per via dei crescenti prezzi energetici.

Per Vontobel, “il petrolio potrebbe effettivamente rappresentare una minaccia per le tendenze disinflazionistiche a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi, considerando che è stata proprio la componente energetica a contribuire maggiormente alla disinflazione negli ultimi mesi.”

Aumenta il prezzo dei carburanti

Il rialzo del greggio ha riflessi importanti sui consumatori, alle prese con carburanti più costosi. In Italia, la benzina alla pompa ha già superato i due euro al litro e il diesel ha raggiunto quota 1,94 euro. Il tema è particolarmente caldo anche negli Usa, dove rappresenta un argomento caro a molti elettori in vista delle presidenziali dell’anno prossimo.

Nel caso dei carburanti, i livelli dei prezzi sono influenzati anche dallo stop alle forniture russe, nell’ambito delle sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, e dallo stato dei sistemi di raffinazione, che costringono a importare prodotti già lavorati a prezzi elevati piuttosto che produrre internamente.

Inflazione nell’eurozona al 5,2% ad agosto

Intanto stamani sono stati diffusi i dati finali di agosto sull’inflazione della zona euro. L’indice dei prezzi al consumo mostra una crescita su base mensile dello 0,5%, contro lo 0,6% inizialmente rilevato. Su base annua, la crescita si attesta al 5,2%, rispetto al 5,3% della prima lettura, mentre l’inflazione core, al netto di prezzi energetici ed alimentari, si conferma al 5,3% tendenziale.

I numeri non fanno altro che confermare che le pressioni sottostanti rimangono elevate e la discesa dell’inflazione sta avvenendo in modo lento e irregolare. Le prospettive della Bce indicano un’inflazione core in media al 5,1% nel 2023, al 2,9% nel 2024 e al 2,2% nel 2025