Economia

In pensione a 61 anni con Ape Donna. Le nuove ipotesi al vaglio del Governo

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La riforma delle pensioni non è rimasta completamente al palo. Anche se quelle che stanno emergendo in queste ore sono solo delle ipotesi. Una di queste, prospettata proprio in vista della Legge di Bilancio, è relativa all’Ape Donna – il cui nome completo sarebbe in realtà: Ape Sociale Agevolata per le Donne – che prevede la possibilità per le lavoratrici di ricevere l’assegno previdenziale a partire dai 61 anni, invece che i 63, che sono previsti in questo momento.

In attesa che il Governo prenda delle decisioni ufficiali su questa agevolazione, proviamo a vedere come funzionerebbe.

Ape Donna: le ipotesi al vaglio

Il capitolo pensioni si arricchisce di una nuova ipotesi, che sta circolando in questi giorni. L’Esecutivo starebbe valutando l’introduzione di una nuova agevolazione per le lavoratrici, che stanno vivendo una situazione di disagio. Battezzata Ape Donna, la misura allo studio permette di accedere ad un ulteriore vantaggio nella contribuzione alle lavoratrici che siano in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • sono state licenziate;
  • hanno un’invalidità pari ad almeno il 74%;
  • sono delle caregiver;
  • stanno svolgendo dei lavori gravosi.

L’agevolazione contributiva si andrebbe ad aggiungere allo sconto che è già previsto ad oggi, che permette di andare in pensione un anno prima per ogni figlio, per un massimo di due anni.

Per poter accedere all’Ape Donna, nel caso in cui siano state licenziate, abbiano un’invalidità al 74% o siano delle caregivers, le lavoratrici devono aver maturato almeno 30 anni di contributi. Scendono a 28 per le donne che abbiano almeno due figli.

Per le lavoratrici impegnate in lavori gravosi, invece, gli anni di contributi necessari per accedere all’Ape Donna sono 36, che scendono a 34 per chi ha due figli: in questo caso, però, almeno sei anni degli ultimi sette o sette degli ultimi dieci devono essere svolti effettuando delle mansioni gravose.

A quanto ammonta l’assegno previdenziale

L’Inps provvederà ad erogare un’indennità per dodici mensilità – e non per tredici come con la classica pensione -, mentre l’importo mensile è calcolato nel momento in cui si accede alla misura. Questo sussidio viene erogato fino al momento in cui si ha diritto di accedere alla pensione di vecchiaia: le dirette interessate non potranno ricevere più di 1.500 euro lordi al mese, che non verranno rivalutati.

Ape Donna potrebbe diventare un’alternativa ad Opzione Donna o potrà essere introdotta in aggiunta a questa: al momento non è ancora chiaro cosa abbia intenzione di fare il Governo. La platea dei potenziali beneficiari, comunque, risulterebbe essere grosso modo la stessa. Con Ape Donna, però, le lavoratrici non sarebbero costrette a scegliere il metodo di calcolo contributivo.

Rispetto ad Opzione Donna si potrà andare in pensione più tardi: la misura già in vigore, infatti, permette di andare in quiescenza a 58 anni, dovendo per aspettare la finestra mobile di un anno se si è dipendenti. Il numero di anni di contributi risulta essere inferiore e non si andrebbe direttamente in pensione, ma si avrebbe una sorta di assegno di accompagnamento che permette di raggiungerla.

Le altre soluzioni allo studio

Il Governo avrebbe anche allo studio l’ipotesi di allentare la stretta di Opzione Donna. Una parte della Maggioranza avrebbe intenzione di eliminare il paletto costituito dai figli. Verrebbe, comunque, lasciato l’accesso solo alle lavoratrici che già adesso possono uscire anticipatamente con questa misura: stiamo quindi parlando delle donne caregiver, di quelle con un’invalidità civile pari ad almeno il 74%, quelle licenziate o che stiano lavorando per delle aziende in crisi.

L’idea quindi, potrebbe essere quella di andare ad eliminare il requisito dei 60 anni e gli sconti previsti per chi ha dei figli. Queste categorie andrebbero in pensione a 58 anni, come accadeva nel 2022.