I principali listini internazionali sono stati colpiti dai sell off all’indomani della riunione della Federal Reserve (Fed). La banca centrale americana ha mantenuto i tassi invariati ma al tempo stesso le nuove proiezioni indicano che la maggior parte dei funzionari è favorevole ad un nuovo rialzo entro fine anno.
Inoltre, è previsto un allentamento minore rispetto alle precedenti stime, con un valore atteso per il costo del denaro a fine 2024 mediamente pari al 5,1%, rispetto al 4,6% delle proiezioni di giugno. Un segnale che la Fed intende mantenere a lungo i tassi su livelli restrittivi per continuare a contrastare l’inflazione, anche a causa della solidità del mercato del lavoro.
La reazione dei mercati
Ieri sera Wall Street ha accelerato al ribasso nell’ultima ora di contrattazioni dopo che gli operatori hanno metabolizzato le indicazioni giunte dalla Fed, in scia al rialzo dei tassi treasury soprattutto sul tratto a breve della curva, con il rendimento a due anni che ormai sembra puntare ai massimi raggiunti nel 2006 a quota 5,27%. In rosso tutti gli indici Usa in chiusura: Dow Jones (-0,2%), S&P 500 (-0,9%) e Nasdaq (-1,5%).
L’onda lunga del ribasso si è estesa in Asia questa mattina con tutti i principali listini negativi (Nikkei 225 giapponese che chiude in calo dell’1,2%). Apertura in rosso anche in Europa con vendite che stanno interessando tutti gli indici principali: Euro Stoxx 50 (-1,4%), Ftse Mib (-1,5%) e Dax (-1,2%).
A spaventare i mercati sono state le parole del presidente Powell nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi, in cui ha ‘presentato’ anche lo scenario peggiore che potrebbe concretizzarsi, sia per l’economia Usa, che per la stessa Fed:
“La cosa peggiore che potremmo fare sarebbe fallire nel ripristinare la stabilità dei prezzi, in quanto la storia è chiara su ciò che accadrebbe. Se non si ripristina la stabilità dei prezzi, l’inflazione ritorna e l’effetto è quello di assistere a un lungo periodo di forte incertezza per l’economia, che colpisce la crescita. Potrebbe essere miserabile ritrovarsi in un contesto in cui l’inflazione tornasse a crescere costantemente e la Fed fosse costretta a intervenire di nuovo per alzare i tassi, ancora e ancora”.
La lotta all’inflazione e la paura degli anni ‘70
“Più a lungo continua l’attuale fase di alta inflazione, maggiore è la possibilità che le aspettative di una maggiore inflazione si radicano” aveva detto Powell a settembre dello scorso anno. È una lezione che il Governatore conosce bene ed è nata dalla dolorosa esperienza del Paese con i prezzi galoppanti negli anni ’70. Il presidente della Fed si è dimostrato più volte determinato a spegnere l’inflazione con tassi di interesse più alti ed evitare il tipo di spirale dei prezzi decennale che ha perseguitato i presidenti da Richard Nixon a Jimmy Carter.
Gli anni ’70 furono segnati da shock petroliferi che portarono alle stelle i prezzi della benzina. In realtà i prezzi iniziarono ad aumentare a metà degli anni ’60, quando il governo federale spendeva molto sia per la guerra del Vietnam che per la Great Society. Nixon congelò temporaneamente i prezzi all’inizio degli anni ’70, ma ciò non fece altro che ritardare il dolore. Quando i suoi controlli furono allentati, i prezzi salirono ancora di più.
Alla fine, è stato necessario un giro di vite da parte del presidente della Fed Paul Volcker per interrompere il ciclo di aumento dei prezzi e dei salari. Volcker ha frenato l’economia alzando i tassi di interesse al 20%: una decisione dura ma necessaria per dimostrare che era seriamente intenzionato a tenere l’inflazione sotto controllo. E infatti ha funzionato: nel 1983 l’inflazione era scesa a poco più del 3%.
È stata una correzione dolorosa. Quasi 4 milioni di persone persero il lavoro a causa delle recessioni consecutive dei primi anni ’80. Ma per i successivi quattro decenni, l’inflazione non è stata un problema serio negli Stati Uniti, fino allo scoppio della pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina.
Non è mancato l’ottimismo sulle proiezioni economiche
Oltre a fare il grande annuncio sui tassi, il Fomc ha annunciato nella giornata di ieri le nuove proiezioni economiche relative al Pil e all’inflazione degli Stati Uniti.
L’outlook sulla crescita del Pil Usa nel 2023 è stato rivisto al rialzo a +2,1%, più del doppio rispetto alla attese annunciate nel mese di giugno, a conferma di come gli esponenti della banca centrale non anticipino l’arrivo di una recessione. Per il 2024, l’outlook sul Pil è stato alzato dal +1,1% atteso in precedenza, a una crescita pari a +1,5%.
Il tasso di disoccupazione è atteso per il 2024 non più alto del 4,1%, dal 3,8% attuale e rispetto all’outlook pari al 4% previsto nel lungo termine. Soltanto tre mesi fa, le previsioni sul Pil erano di una crescita pari ad appena +1,1% nel 2024, dopo una espansione pari a +1% di quest’anno, e di un tasso di disoccupazione che avrebbe toccato il picco del 4,5% l’anno prossimo, per poi confermarsi a quel livello fino alla fine del 2025.
Per quanto riguarda le nuove stime sul trend dell’inflazione, le attese sono di un calo al 3,3% entro la fine di quest’anno, al 2,5% nel 2024 e al 2,2% entro la fine del 2025 (al di sopra del target del 2% della Fed, dunque, per i prossimi anni, fino al 2025″. La Fed stima un ritorno dell’inflazione al target del 2% soltanto nel 2026.