Nelle ultime settimane il rally del petrolio ha rinfocolato i timori per una nuova fiammata dell’inflazione. L’accelerazione dei costi energetici rischia di complicare il compito delle banche centrali, impegnate a raffreddare la crescita dei prezzi, proprio ora che si comincia a intravedere la fine dei cicli restrittivi avviati l’anno scorso.
Ma non è solo il petrolio a destare preoccupazioni. Negli ultimi mesi, infatti, molte materie prime agricole hanno subito rincari a causa delle condizioni meteorologiche avverse e dei crescenti rischi climatici che hanno intaccato le forniture, facendo lievitare i prezzi.
L’aumento del petrolio rischia di frenare la discesa dell’inflazione
L’estensione dei tagli alle forniture da parte di Arabia Saudita e Russia, i principali membri dell’Opec+, ha alimentato le scommesse su un deficit di offerta nel mercato petrolifero da qui a fine anno, sostenendo un rialzo del petrolio fino a livelli che non si vedevano dallo scorso novembre. Le quotazioni dell’oro nero hanno guadagnato all’incirca il 30% in tre mesi e il Brent ha superato temporaneamente i 95 dollari al barile.
Molti analisti hanno previsto incrementi fino ai 100 dollari e JPMorgan si è spinta a ipotizzare un target potenziale di 150 dollari al barile. Diverso il parere di ING, secondo cui un superamento dei 100 dollari è sì possibile nel breve, ma non sostenibile nel lungo periodo, per via della domanda più debole e delle pressioni politiche per incrementare l’offerta.
Il rialzo del greggio, che si è parzialmente ridimensionato nelle ultime sedute, rischia di avere un impatto pesante sui consumatori, costretti a pagare di più i carburanti, anche per via dello stop alle forniture dalla Russia e dei problemi di raffinazione.
Le altre commodity che alimentano l’inflazione
A complicare il quadro dell’inflazione, rallentando la discesa dei prezzi che le banche centrali stanno perseguendo, contribuisce anche l’aumento dei prezzi di alcune delle cosiddette “soft commodity”: succo d’arancia, bestiame, zucchero, cacao. L’indice S&P GSCI Softs, un sottoindice del benchmark S&P GSCI commodities che considera soltanto le materie prime in questione, evidenzia un incremento di oltre il 16% dall’inizio del 2023.
“Le soft commodity sono molto fragili e molto sensibili ai cambiamenti climatici”, ha affermato Darwei Kung, responsabile delle materie prime e delle risorse naturali presso DWS. “Ecco perché vediamo il prezzo salire e non esiste una soluzione a breve termine, perché la produzione non può superare un certo limite”.
Le grandi aziende alimentari cercano dunque di trasferire i maggiori costi di produzione sui consumatori e questo potrebbe portare, secondo Jung, ad una “biforcazione” di prospettive sull’inflazione, poiché le banche centrali guardano soprattutto all’inflazione core, da cui sono esclusi i prezzi dei beni alimentari.
Le ragioni per cui aumentano i prezzi delle soft commodities
Per ognuna di queste materie prime agricole ci sono fattori specifici che hanno concorso ad incrementare i prezzi. Il succo d’arancia ha risentito degli uragani in Florida e delle temperature più elevate in Paesi come Brasile e Messico, che hanno determinato raccolti più bassi. Il mercato dei futures sul succo d’arancia ha raggiunto il valore record di 3,5 dollari per libbra questo mese.
Anche i contratti a termine sul bestiame vivo hanno toccato un massimo a quota 1,9205 dollari per libbra, spinti dalla contrazione degli allevamenti bovini negli Usa, dalla domanda elevata e dall’aumento dei costi di produzione. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti prevede un calo delle forniture quest’anno e il prossimo, e potenzialmente fino al 2025 e al 2026.
Negli ultimi mesi, pure i prezzi dello zucchero grezzo e del cacao sono aumentati vertiginosamente, con i rispettivi futures a quota 27,6 centesimi per libbra (+31% da inizio anno), il livello più alto dal 2012, e 3.525 dollari per tonnellata (+35,6% Ytd), dopo aver toccato il massimo da oltre un decennio a 3.757 dollari. Le condizioni meteorologiche estreme hanno danneggiato i raccolti di zucchero in India e Thailandia, così come quelli di semi di cacao in Costa d’Avorio e Ghana.
In calo i prezzi dei cereali
Per contro, i prezzi di altri prodotti agricoli, come il mais e il grano, sono scesi dai massimi di inizio anno, migliorando le prospettive per i consumatori. Da inizio 2023 il mais segna un ribasso del 29% e il grano un calo di oltre il 6%, dopo aver raggiunto i massimi da inizio anno a gennaio e febbraio.
Anche i futures sulla soia, in diminuzione del 14% nel corso dell’anno, sono scesi la scorsa settimana ai minimi da un mese, dopo che il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti ha riportato esportazioni più deboli del previsto.