Ad un mese dalla proposta, oggi è stato dato il via al Patto Anti-inflazione, la misura trimestrale che porterà ad un “calmierato” generale dei prezzi di diversi prodotti essenziali. Riguarderà non solo la filiera della distribuzione ma anche quella della produzione, con oltre 30 associazioni di impresa, dal sistema agricolo e industriale, che hanno aderito fin dagli inizi di agosto.
Il Governo Meloni auspica che questa misura possa dare un colpo serrato all’attuale inflazione, ancora sopra alla soglia ideale del 2%. Ma già da un mese diverse associazioni hanno mostrato perplessità e dubbi in merito alla misura, inefficace e forse addirittura controproducente nei confronti sia delle filiere, sia dei consumatori.
Oggi scatta il Patto Anti-inflazione
Oggi è stato dato il via al “trimestre anti inflazione”, ovvero al Patto Anti-inflazione tra Ministero delle Imprese e del Made in Italy, tutte le filiere e supermercati aderenti all’iniziativa e i consumatori. Come riportato dal sito ufficiale del Mimit, dal 1° ottobre al 31 dicembre 2023 molti prodotti avranno prezzi ribassati o calmierati, fino al 10% in alcuni casi, come per gli alimenti di prima necessità (pasta, latte, farina, cereali…).
Si è dovuto aspettare però il 23 settembre per avere conferma di quali filiere e catene di distribuzione avrebbero aderito. Ad oggi sono riportati oltre 25.000 punti vendita, tra Esselunga, Conad, Carrefour, Pam, Lidl, Tigre, Famila, Decò. Nel caso dei marchi, si va dalla Barilla alla Lavazza, fino alla Mutti, alla Nestlé e alla Ferrero. Dal 1° ottobre il consumatore potrà acquistare i prodotti scontati solo se saranno marchiati con un apposito bollino tricolore “anti inflazione” autorizzato dal Governo.
Dal funzionamento del Patto Anti-Inflazione gli italiani dovrebbero riuscire a risparmiare fino a 150 euro (al massimo di 140 euro nel caso della sola spesa alimentare), e complessivamente quasi 4 miliardi di euro. Un risparmio che potrebbe essere buono, a patto però che l’inflazione continui ad abbassarsi e non ci siano ritorni di fiamma. In effetti il timore c’è, oltre al fatto di poter rappresentare per le filiere un potenziale boomerang.
I dubbi sull’efficacia del Patto Anti-inflazione
Davanti ad un risparmio pro capite di 50 euro al mese per tre mesi, la stessa Assoutenti ha voluto comunque precisare che il Patto potrebbe non reggere qualora i prezzi alti della benzina e del gasolio dovessero mantenersi tali per tutto il prossimo trimestre. Si rischierebbe così di mandare in fumo i soldi risparmiati dagli italiani con gli sconti al supermercato. In effetti dal caro carburante di oggi si stima una spesa extra a fine anno di circa 330 euro.
A questo si segnala anche la discordia che si sta creando tra Federdistribuzione e i produttori. La Grande Distribuzione si è resa disponibile a siglare il Patto, e si segnalano le firme di Federdistribuzione, Ancd-Conad e Ancc Coop. Ma in un comunicato stampa, Alberto Buttarelli, presidente della Federdistribuzione, critica la mancata disponibilità del settore industriale, che “[…] sollevando argomentazioni pretestuose e strumentali, si dichiara indisponibile a sottoscrivere un accordo.“. In effetti i produttori, da Centromarca a Federalimentare passando per Unionfood, ha confermato la propria indisponibilità. Il motivo è nel margine di profitto sempre più ridotto per compensare gli extracosti e venire incontro al portafoglio del consumatore: “Nell’alimentare i margini per unità di prodotto[le filiere] hanno registrato una riduzione del 41,6%.“, segnala nel suo comunicato stampa Centromarca.
Inoltre, la stessa ADOC, Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, in un suo recente comunicato stampa, segnala come “le Associazioni dei Consumatori aderenti al CNCU non siano state assolutamente informate del Patto anti inflazione“, mostrandosi perplessa per quanto riguarda gli effetti di questo Patto:
“Temiamo che questo patto, che avrebbe potuto rappresentare un significativo sostegno in favore dei consumatori ascoltando le istanze delle associazioni, sia esclusivamente un’operazione di marketing e di facciata, con il paradosso che questa volta le campagne pubblicitarie saranno non a carico della singola catena distributiva, ma dell’intera collettività. […] Il rischio è che gli ipotetici prodotti a prezzi calmierati abbiano già subito ulteriori rincari rispetto a quelli già registrati negli ultimi due mesi.”
Le proposte per attenuare gli effetti dell’inflazione
Il calmiere potrebbe non essere la risposta a questa ondata inflazionistica. In Italia un caso analogo è stato nel 1947, col Piano di Stabilizzazione Economico, per controllare l’iperinflazione. Questo piano includeva controlli sui prezzi e accordi tra governo, sindacati e imprese per limitare l’aumento dei prezzi. Nonostante il successo della misura, ancora nel 1950 l’inflazione era al 10% (notevolmente più bassa rispetto al periodo della Seconda Guerra Mondiale). Grazie però al Piano Marshall, e all’aumento della ricchezza diffusa, l’inflazione si stabilizzò.
In effetti una maggior stabilizzazione economica dei consumatori potrebbe essere risolutiva, perché così facendo si potrebbe migliorare il potere d’acquisto e garantire i profitti anche con vendite di prodotti a prezzo calmierato. Storicamente i calmieri non hanno mai dato l’effetto sperato, perché il rischio è quello di spingere la domanda a raggiungere livelli impossibili da soddisfare, causando così una carenza del bene calmierato. E anche di non essere lo strumento unico in grado di contrastarla.
Sempre l’ADOC propone nel suo comunicato stampa di introdurre dei tagli su IVA e accise, “[togliere] gli oneri di sistema su energia e carburanti, spostandoli sulla fiscalità generale, ridurre il cuneo fiscale per aumentare il potere d’acquisto di lavoratori dipendenti e pensionati.“. E così anche di dotare Mister Prezzi “di poteri sanzionatori e di individuare strumenti efficaci come gli Osservatori territoriali, per stanare fenomeni speculativi.”