Economia

Giovani, quali cercano le imprese italiane?

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Salgono gli occupati in Italia ad agosto 2023, mentre scendono i disoccupati e gli inattivi restano stabili. Lo certificano i dati sul lavoro dell’Istat, diffusi oggi. Tuttavia, tra luglio e agosto 2023, i giovani (15-24 anni) hanno visto un calo in termini di occupazione e disoccupazione e
un aumento dell’inattività. La disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni tuttavia resta sostanzialmente stabile al 22%, contro il 22,4% di gennaio 2023. Quali giovani cercano le imprese italiane?

I giovani di cui hanno bisogno le imprese

Secondo il rapporto del sistema informativo Excelsior di Unioncamere sui fabbisogni occupazionali del 2023-2027, in tale periodo serviranno circa 3,8 milioni di lavoratori, in particolare nel settore dei servizi (2,8 milioni). A livello di settori, dominano i tre principali del made in Italy: agroalimentare, moda, legno e arredo.

Dall’analisi delle filiere in base ai valori assoluti dei fabbisogni emerge per commercio e turismo una domanda di occupati di oltre 750 mila persone, determinata in buona parte dalla necessità di sostituzione, ma anche dalle prospettive favorevoli di ripresa del settore, per merito anche dei fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) da destinare al rilancio del turismo. Altre filiere importanti saranno “altri servizi pubblici e privati” (che comprendono i servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone e la PA in senso stretto; circa 567 mila opportunità previste in cinque anni), la filiera produttiva della “salute” (477 mila unità), quella “formazione e cultura” (436 mila i lavoratori di cui ci sarà bisogno), seguita da “finanza e consulenza” (quasi 430 mila unità, la maggior parte delle quali saranno nuovi consulenti) e “costruzioni e infrastrutture” (270 mila unità).

Per quanto concerne le professioni, il fabbisogno di dirigenti, professioni specializzate e tecniche, stimato in oltre 1,4 milioni di unità nel quinquennio, rappresenterà una quota elevata del totale, quasi il 40%. Le professioni più ricercate saranno quelle tipiche delle filiere settoriali che saranno maggiormente coinvolte negli investimenti legati al Pnrr: ingegneri e tecnici in campo ingegneristico che saranno richiesti sia dai servizi di consulenza alle imprese sia dalla filiera della meccatronica e robotica; i tecnici della salute (che comprendono infermieri, fisioterapisti, radiologi, tecnici di laboratorio), i medici e le professioni qualificate nei
servizi sanitari e sociali. Invece i tecnici ICT e gli specialisti in scienze matematiche e informatiche saranno assorbiti in modo trasversale dai diversi settori coinvolti nella transizione digitale.

Dove cercano le imprese?

Come di consueto, la maggior parte delle ricerche delle imprese si concentreranno al Nord-Ovest: quasi 1,1 milioni di persone, pari al 28,5% del totale. Tuttavia, il tasso di fabbisogno è più elevato quello del Sud e Isole (+3,2% contro il +3% del Nord-Ovest). Sotto il profilo regionale, la Lombardia, con oltre 714 mila persone, contribuisce da sola a quasi 1/5 dei fabbisogni previsti, seguita da Lazio (379 mila unità), Veneto (346 mila unità) ed Emilia Romagna (quasi 336 mila unità).

Quali trovano?

Il rapporto Unioncamere-Excelsior ha mappato alcune professioni selezionate rispetto all’intensità con cui verranno richieste nel prossimo quinquennio (tasso di fabbisogno medio annuo nel 2023-2027) e alla difficoltà di reperimento nel mercato del lavoro riferita all’ultima annualità (quote del 2022). Questo il risultato.

Le professioni posizionate nel quadrante in alto a destra partono già da un grado elevato di difficoltà di reperimento nel 2022 presentano e si prevede  saranno richieste intensamente nei prossimi 5 anni (a un tasso di fabbisogno annuo superiore alla media del 3,2%). Nel quadrante in alto a sinistra si collocano le figure contraddistinte da una elevata difficoltà di reperimento, ma per cui non ci sarà un peggioramento delle attuali criticità nella ricerca di candidati.

Cosa offrono le imprese ai giovani?

Vi è anzitutto l’annosa questione retributiva. Gli stipendi in Italia sono inferiori rispetto al resto d’Europa, ma la situazione è particolarmente allarmante per i giovani. Secondo un’indagine realizzata nel 2022 dal Consiglio nazionale dei giovani in collaborazione con Eures sui giovani al di sotto dei 35 anni:

  • il 43% percepirebbe una retribuzione netta mensile inferiore a 1.000 euro;
  • il 33% guadagnerebbe un salario compreso tra i 1.000 e i 1.500 euro;
  • solamente il 24% supererebbe i 1.500 euro netti, ma rimanendo sotto la soglia dei 2.000 euro.

Solo il 54% degli under 35 ritiene di essere retribuito in misura idonea rispetto al tipo di lavoro svolto, mentre il 46% sostiene di ricevere un salario non adeguato. A ciò si aggiunge il fatto che il 31% dei giovani contesta che le ore di lavoro sono superiori a quelle stabilite. Non va meglio ai laureati: il rapporto Almalaurea certifica che nel 2022 la retribuzione mensile netta a 5 anni dal titolo era pari a 1.635 euro per i laureati triennali e a 1.697 euro per magistrali e a ciclo unico, con una diminuzione delle retribuzioni reali rispetto al 2021 del 2,4% e del 3,3%.

Per quanto riguarda la formazione,  il rapporto “Formare per crescere” di Mylia (Gruppo Adecco) rileva che offre formazione l’80% delle grandi aziende (oltre 250 addetti), che però sono minoritarie in Italia in termini numerici e solo il 18,4% delle microimprese (con meno di 10 addetti, la maggioranza in Italia, ossia 4 milioni secondo i dati Istat). Nel 33,2% delle aziende viene offerta una formazione continua (che punta all’apprendimento di competenze a ogni stadio della carriera), mentre nel 28,8% viene svolta quella per i neoassunti e nel 15,6% dei casi viene erogata una formazione riqualificante, per i lavoratori che cambiano area produttiva.

Dopo l’esperienza traumatica del coronavirus, i lavoratori in generale e i giovani in particolare aspirano a un migliore bilanciamento tra lavoro e vita privata. Al punto da arrivare a dimettersi da un posto di lavoro per ricercarlo. Anche perché lo smart working, uno dei principali strumenti per promuovere un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata, sta lentamente scomparendo: solo il 13,3% delle imprese intervistate dall’Inapp ha dichiarato di aver utilizzato lo smart working.