L’attacco di Hamas contro Israele coincide con il cinquantesimo anniversario dell’inizio della guerra dello Yom Kippur, così denominata proprio in riferimento alla festività religiosa in cui partì il primo attacco, il 6 ottobre 1973. Come all’epoca, si fa largo l’idea che l’apparato difensivo di Israele sia stato colto di sorpresa. Inclusa l’intelligence. L’offensiva di Hamas, caratterizzata dal lancio di oltre duemila razzi, richiede una pianificazione che le forze armate israeliane sembrano non aver rilevato in anticipo.
Un aspetto rilevante che richiede andrebbe preso in considerazione è la presenza di un altro elemento parallelo rispetto agli eventi del 1973: un eccessivo senso di superiorità che può portare a una percezione di sicurezza e, in ultima analisi, ad un abbassamento della guardia di fronte ai pericoli imminenti.
L’attacco di Hamas va poi visto come parte integrante di una più ampia rivoluzione geopolitica che coinvolge la regione. Fino a poco tempo fa, si prevedeva un possibile e storico processo di riconciliazione tra l’Arabia Saudita e Israele. L’attacco in corso può essere interpretato come un tentativo da parte di Hamas di sabotare questo processo di disgelo e di influenzare gli equilibri regionali a proprio vantaggio.
Ma soprattutto, la guerra dello Yom Kippur ha avuto un impatto significativo che ha raggiunto ben oltre i confini regionali. Per le nazioni occidentali, ha rappresentato il primo grave shock energetico a causa dell’embargo petrolifero imposto dai paesi arabi contro chi aveva sostenuto Israele. Questo episodio ha stimolato una ricerca più intensa di soluzioni energetiche alternative segnando l’inizio di un cambiamento significativo nei paradigmi energetici globali.
Lo shock petrolifero dopo lo scoppio del Kippur
Dal punto di vista economico, la conseguenza principale del conflitto noto come Guerra del Kippur fu una crisi energetica derivante dall’incremento dei prezzi del petrolio grezzo e dei suoi derivati. I Paesi membri dell’OPEC, in sostegno all’Egitto e alla Siria, ridussero le esportazioni e, in alcuni casi, impiegarono addirittura l’embargo contro le nazioni amiche di Israele. Questa situazione colpì principalmente l’Europa occidentale, che si trovò a fronteggiare un aumento significativo dei costi energetici. Di conseguenza, i governi si trovarono costretti a implementare misure volte a limitare il consumo di energia ed evitare sprechi.
Questo periodo segnò anche la prima attuazione di programmi di austerità economica che ebbero impatti diretti sul sistema industriale e diede il via a iniziative di riforma nel settore energetico. La crisi rivelò chiaramente come la maggior parte dei Paesi e dei modelli produttivi fossero fortemente dipendenti da un’unica fonte di approvvigionamento energetico, estremamente vulnerabile agli shock e alle crisi.
L’arrivo della stagflazione economica
In realtà, una crisi latente aveva già avuto inizio nel 1971 con l’entrata in vigore degli Accordi di Bretton Woods, che portarono a un profondo cambiamento nel sistema monetario internazionale. Tuttavia, questa instabilità si manifestò in tutta la sua gravità con lo scoppio del conflitto noto come Guerra del Kippur. Come accennato precedentemente, questa crisi segnò la fine del periodo di sviluppo che aveva caratterizzato i Paesi occidentali dalla conclusione della Seconda guerra mondiale.
Lo shock petrolifero ha accentuato ulteriormente il rallentamento economico che era già in corso in Occidente dalla seconda metà degli anni Sessanta. La produzione subì una contrazione diffusa, i profitti delle imprese diminuirono e i prezzi delle merci aumentarono rapidamente. In breve, si entrò in un ciclo inflazionistico accompagnato da una stagnazione economica. I Paesi si trovarono quindi in uno stato di stagflazione, una situazione in cui coesistevano l’inflazione e la mancanza di crescita economica reale.
Il cambiamento del pensiero economico: da Keynes al neoliberismo
La stagflazione ha rappresentato una sfida significativa per le teorie economiche tradizionali, poiché queste si sono dimostrate inefficaci nel risolvere questa complessa situazione economica. Questa sfida ha portato a una radicale revisione del pensiero economico nella seconda metà degli anni Settanta, segnando un passaggio da un modello economico basato principalmente sulle teorie keynesiane a una prospettiva più neoliberista. In questo contesto, sono state riscoperte le teorie della Scuola Austriaca, rappresentate da economisti come Bawerk, Von Mises e Hayek, e la Scuola di Chicago, associata a figure come Friedman e Harberger.
Non è sorprendente che nel 1979 nel Regno Unito sia stata eletta Margaret Thatcher e nel 1981 negli Stati Uniti sia emerso Ronald Reagan, poiché questi due leader sono stati i principali promotori della rivoluzione neoliberista nel mondo occidentale. Durante gli anni Settanta, entrambe le nazioni avevano sperimentato un notevole rallentamento del loro PIL, un aumento della disoccupazione e una crescente inflazione, il che aveva generato un forte disagio nella popolazione.
A lungo termine, questa crisi ha contribuito a spingere l’Occidente verso processi di terziarizzazione dell’economia e delocalizzazione delle attività industriali. Così, un conflitto apparentemente breve e con caratteristiche simili ad altri conflitti ha avuto un impatto duraturo sugli scenari economici mondiali, le cui conseguenze sono ancora visibili oggi, a distanza di oltre quarant’anni.