L’Accordo di Parigi potrebbe non raggiungere il suo obiettivo nobile entro la data prefissata, ovvero di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi centigradi. A riferirlo è il World Energy Outlook 2023 dell’Agenzia internazionale dell’Energia (Iea): servono misure più incisive per raggiungere questo obiettivo. Ma come fare con l’attuale mercato completamente rovesciato dalle crisi energetiche e geopolitiche?
In effetti, con la guerra russo-ucraina, i paesi hanno dovuto affrontare una crisi energetica tale da dover sostenere imprese e famiglie nelle bollette. E implicitamente sostenere l’attuale consumo di combustibili fossili, ancora in largo uso nelle utenze domestiche e aziendali. Una mossa che paradossalmente non ha rallentato il finanziamento alla transizione energetica, ma che renderà nei prossimi anni, specifica il WEO, sempre più decisivo.
Accordo di Parigi, per il WEO 2023 siamo indietro
Siglato nel 2015, l’Accordo di Parigi prevede da parte di tutti i paesi aderenti il raggiungimento di un obiettivo nobile: limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C. Negoziato dai rappresentanti di 196 Stati alla XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCCC, non tutti i paesi hanno voluto ratificarlo. Oltre all’Iran, tutt’oggi una delle più grandi fonti di emissioni, per motivi di interessi industriali nazionali anche gli USA hanno inizialmente ritirato l’adesione, durante la presidenza Trump nel 2020. Salvo rientrarci nel 2021 con l’amministrazione Biden.
Oltre alla temperatura, è fatto obbligo a chi vi aderisce di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 50% entro il 2030, fino a raggiungere l’obiettivo zero emissioni (NZE) entro il 2050. O almeno si spera, anche perché la domanda di combustibili fossili è destinata a rimanere troppo alta per mantenere tale obiettivo. Come riporta il World Energy Outlook 2023, allo stato attuale, servono necessarie misure ancora più incisive, dato che i risultati al momento sono scarsi. Alla sezione della Road Map to Zero, il report descrive una situazione gravosa per quanto riguarda i livelli di CO2 registrati nel 2022:
Le emissioni globali di anidride carbonica (CO2 ) provenienti dal settore energetico hanno raggiunto il nuovo record di 37 miliardi di tonnellate (Gt) nel 2022 , l’1% in più rispetto al livello pre-pandemia, ma sono destinate a raggiungere il picco in questo decennio.
Altro problema è il Gas Naturale Liquefatto, considerato tra i prodotti più indicati per la transizione verso combustibili più puliti come l’idrogeno. Si prevedono una serie di nuovi progetti dal 2025, per circa più di 250 miliardi di metri cubi all’anno di nuova capacità entro il 2030. Parliamo di un incremento pari al 45% dell’attuale offerta globale: tutto ciò potrebbe portare, oltre ad un calo dei prezzi, a un eccesso di offerta. E diventare così superflui tra il 2030-2040, mettendo in crisi tutti gli investitori in queste nuove forme di energia pulita.
Ma la fine delle combustibili è vicina
Lo scenario che si è creato nell’ultimo anno è sembrato per molti alquanto ambivalente. Da una parte abbiamo avuto un incremento mastodontico degli investimenti sul fronte delle energie rinnovabili, e dall’altro un picco di supporti economici ai combustibili fossili attorno al trilione di dollari. In realtà è bene non confondere eventi emergenziali come la crisi energetica ai progetti a lungo periodo stipulati dalle grandi potenze mondiali, come Cina e UE.
È vero che nel biennio 2021-2022 c’è stata una corsa ai sussidi governativi per il fossile, ma questo era dovuto per motivi emergenziali. Con l’inizio del conflitto russo-ucraino, molti paesi hanno dovuto affrontare un aumento dei costi di approvvigionamento del gas, come sta accadendo anche ora con il conflitto israelo-palestinese. Per evitare un contraccolpo finanziario per famiglie e imprese, i Governi hanno sostenuto con bonus e agevolazioni una platea enorme di beneficiari, al punto da “supportare” indirettamente i combustibili fossili, essendo ancora in nuce la transizione energetica per interi comparti industriali e per le abitazioni.
Ma come segnala il report, questo non ha prevalso al momento sugli investimenti green, anzi, “lo slancio dietro le transizioni verso l’energia pulita è ora sufficiente affinché la domanda globale di carbone, petrolio e gas naturale raggiunga il suo punto più alto prima del 2030“. Sempre secondo le previsioni, la quota di carbone, petrolio e gas naturale dovrebbe passare dallo “storico” 80% al 73% entro il 2030, secondo lo Stated Policies Scenario dell’IEA. Inoltre, “per ogni dollaro speso in combustibili fossili, oggi se ne spendono 1,8 per una serie di tecnologie energetiche pulite e relative infrastrutture: cinque anni fa questo rapporto era 1:1.“. Non deve però rimanere alta la domanda di questi combustibili fossili.
Quale soluzione per il futuro dell’Accordo di Parigi
Sulla questione dell’Accordo, non c’è molta fiducia da parte del WEO 2023 sulle singole nazioni, a livello di contributi personali nel raggiungimento dell’obiettivo. Anzi, “non sono in linea con gli impegni assunti dai singoli paesi in materia di emissioni nette zero“, per citare il report. Perché la soluzione è proprio quella di cooperare, come già si sta facendo tra COP28 e il primo Global Stocktake ai sensi dell’Accordo di Parigi.
Ma non con le seguenti date: gli Stati dovrebbero anticipare le date fissate, almeno di 5 anni dalla scadenza ufficiale del 2050 per il NZE. Non è quindi possibile posticipare, perché “[…] il mancato aumento delle ambizioni fino al 2030 creerebbe ulteriori rischi climatici“. Servirebbe anzi un impegno più profuso, quantificabile con l’eliminazione dall’atmosfera di almeno “[…] 5 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno durante la seconda metà di questo secolo“, e solo se le tecnologie della rimozione del carbone diventassero disponibili su larga scala, e non costose e incerte.
La strada non è nemmeno troppo irta di problemi. Ottimisticamente il WEO vede con le attuali tecnologie la possibilità di “ottenere oltre l’80% delle riduzioni delle emissioni necessarie entro il 2030.“. Se così fosse, è tutto di guadagnato, soprattutto per le famiglie, visto che la spesa energetica nei mercati emergenti “diminuirà del 12% rispetto al livello odierno, e ancora di più nelle economie avanzate“.