Economia

LA LINGUA DEL BUSINESS? L’INGLESE MA NON SOLO

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(9Colonne) – Bruxelles, 21 set – L’inglese da solo non basta per fare buoni affari. Il monito arriva dalla conferenza in corso a Bruxelles intitolata “Le lingue portano affari”. Se fino a oggi la lingua inglese era stata identificata come “lingua franca” nel mondo del business e per gli scambi interculturali in generale, secondo la formula entrata nell’uso comune che “ormai un po’ di inglese si deve sapere” e “senza si va poco lontano”, da Bruxelles mandano a dire che “è con il multilinguismo che si può massimizzare il rendimento delle imprese”. Durante il dibattito a cui partecipano più di 250 rappresentanti di piccole e medie imprese, organizzazioni professionali, camere di commercio, responsabili politici e professionisti del settore linguistico è emerso che “anche se l’inglese manterrà il suo ruolo cardine, sono le competenze linguistiche aggiuntive, in combinazione con le necessarie abilità interculturali, che possono dare un vantaggio competitivo”. La conferenza è stata indetta dopo una ricerca della Ue che aveva rivelato – con dati inediti – come la mancanza di competenze linguistiche facesse perdere occasioni di fare affari. Le imprese che hanno un approccio strategico alla comunicazione multilingue possono far crescere le proprie vendite all’esportazione di più del 40% in confronto ai loro concorrenti privi di strategie linguistiche formalizzate. Era stata la ricerca a mostrare che per quanto l’inglese sia al primo posto come “lingua franca” nel mondo internazionale degli affari, si registra anche una crescente richiesta di altre lingue: un quarto circa delle imprese interpellate ritiene di dover migliorare ancora il proprio inglese, ma una proporzione analoga ritiene di dover aumentare le proprie competenze di tedesco o francese, e anche lo spagnolo e il russo hanno un posto importante nell’elenco delle priorità. Molte imprese, soprattutto quelle grandi, hanno anche sottolineato la necessità di competenze linguistiche non europee, come il cinese, l’arabo e l’urdu, dal momento che stanno cercando di espandersi sui mercati extraeuropei. Secondo un recente studio effettuato nel Regno Unito, il numero delle persone che nel mondo studiano l’inglese arriverà a circa 2 miliardi nei prossimi 10-15 anni. Contrariamente al luogo comune, questa notizia non è poi così buona per gli anglofoni monolingui: uno studio precedentemente pubblicato dalla CILT e relativo all’impatto delle conoscenze linguistiche sull’economia britannica mostra infatti che le imprese di quel paese hanno lo stesso volume di esportazioni verso la Danimarca, che ha 5 milioni di abitanti, e verso l’America centrale e meridionale, con una popolazione di 390 milioni di persone. Lì forse servirebbe lo spagnolo.