Economia

L’allarme spopolamento Italia parte dal Sud

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Dopo la preoccupante fotografia della demografia italiana scattata dal 57esimo rapporto Censis, l’allarme sullo spopolamento dello Stivale suona forte anche nel rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno, presentato a Roma in presenza del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, che evidenzia come il fenomeno abbia origine soprattutto nel Sud Italia. La diminuzione delle nascite e l’aumentare dell’aspettativa di vita hanno posizionato l’Italia tra i Paesi europei con una popolazione sempre più anziana ma, stando a questa indagine, le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici tra il Sud e il Nord.

Mentre le comunità immigrate si concentrano principalmente nel Settentrione, contribuendo a “ringiovanire” una popolazione sempre più anziana, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati. La situazione è aggravata da un mercato del lavoro estremamente vulnerabile, evidenziato dal fatto che quasi quattro lavoratori su dieci hanno un impiego a termine. La precarietà è uno dei principali motivi che spingono le persone a lasciare la regione.

Dal punto di vista economico, il PIL del Mezzogiorno è previsto in aumento dello 0,4% nel 2023, con una crescita dimezzata rispetto al Centro-Nord (0,8%). Si riapre così un divario di crescita tra le due regioni, a causa del diverso andamento dei consumi. La contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali è doppia rispetto al Centro-Nord, contribuendo a un quadro economico complessivamente sfavorevole.

Spopolamento e invecchiamento del Meridione

Quanto allo spopolamento del Mezzogiorno, i numeri sono inequivocabili: dal 2002 al 2021 hanno abbandonato la regione oltre 2,5 milioni di persone, principalmente verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i giovani, con un deflusso netto di 808 mila under 35 tra il 2002 e il 2021, di cui 263 mila laureati. Il rapporto Svimez stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Meridione entro il 2080, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (-13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080.

Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0–14 anni), pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il -19,5% del Centro-Nord (-955 mila). La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (-6,6 milioni), nel Centro-Nord di circa un quarto (-6,3 milioni di unità). Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.

Il mercato del lavoro al Sud

Quanto al mercato del lavoro, la vulnerabilità di quello meridionale si riflette soprattutto nella prevalenza di impieghi precari, con quasi quattro lavoratori su dieci con un’occupazione a termine (22,9%), contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese.

La povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese nel 2022, con 2,5 milioni di persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord). Nonostante la crescita dell’occupazione, la povertà tra gli occupati è salita, evidenziando che il lavoro precario e mal retribuito non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.