Economia

Cina, gli ultimi dati macro smentiscono i “gufi”

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In Cina, l’inflazione dei prezzi al consumo ha nuovamente sorpreso al ribasso le aspettative di consenso scendendo dello 0,5% anno su anno in novembre, ancora una volta trainata al ribasso dal comparto degli alimentari e dei carburanti. Il fatto che l’inflazione dovrebbe continuare a rimanere bassa nei prossimi mesi ha fatto subito gridare all’allarme deflazione e crisi dell’economia del Dragone e ha fatto crollare i listini asiatici.

Ma i dati come sempre vanno esaminati con un’ulteriore attenzione. Innanzitutto è opportuno ricordare che l’inversione dell’effetto base favorevole sul comparto degli alimentari da febbraio, e in parte anche sui carburanti, dovrebbe favorire una risalita tecnica dell’inflazione nella prima metà del 2024. Inoltre, le misure di supporto all’economia, soprattutto interna, annunciate nelle ultime settimane dovrebbero sostenere una moderata ripresa della domanda e dunque anche dell’inflazione, in particolare dei servizi. Ad esempio, per stimolare la ripresa della crescita, a ottobre Pechino aveva annunciato un adeguamento al rialzo del deficit di bilancio per il 2023, dal 3% al 3,8%, e aveva approvato un’ulteriore emissione di debito sovrano per 137 miliardi di dollari.

Non è detto poi che i consumatori rinviino gli acquisti nella speranza di ulteriori riduzioni di prezzo, soprattutto in vista del Natale, e che le aziende si trovino costrette a dover tagliare produzione e personale e ad accumulare ulteriori scorte.
Tra l’altro l’economia cinese per ora viaggia a un ritmo che le fa mantenere indiscutibilmente la seconda posizione nella classifica mondiale, essendo cresciuta del 4,9% nel terzo trimestre 2023, poco sotto il “circa 5%” di target governativo per l’intero anno.

A smentire i pareri dei “gufi” anti-Cina, la scorsa settimana è stato pubblicato il dato sul commercio estero, risultato positivo. La dinamica delle esportazioni è infatti tornata lievemente positiva dopo sei mesi di cali, aiutata da un effetto base favorevole e da una continua riduzione dei prezzi di vendita che gli operatori operano per mantenere quote di mercato. Ma che difficilmente potrà perdurare, proprio per l’“allarme deflazione” sopra citato.. Le importazioni hanno invece sorpreso al ribasso ma continueranno a godere del supporto degli investimenti in infrastrutture.

Pechino, per giustificare le difficoltà dell’economia della Cina, ultimamente si è spesso appellata alla generale debolezza delle condizioni globali. Se il discorso poteva reggere nella prima parte dell’anno, a fine 2023 possiamo ragionevolmente affermare che il Governo cinese è stato smentito ad esempio dalla prima economia mondiale, gli USA. Stati Uniti che, dopo aver aumentato i tassi di interesse al 4,5% da quasi zero nel 2022 e al 5,5% nel 2023, nel terzo trimestre di quest’anno sono cresciuti del 4,9%, con un PIL reale dunque in linea con la crescita (esagerata) della Cina e nonostante lo spettro recessione più volte invocato anche da tanti economisti esperti. Nel concreto invece l’inflazione americana si sta stabilizzando, i livelli di occupazione sono eccellenti e le imprese straniere (comprese quelle cinesi, dove consentito) si stanno dirigendo verso gli Stati Uniti per usufruire di sussidi e agevolazioni fiscali.

Ma non per forza tutti gli sforzi dei leader politici cinesi saranno vani, solamente forse bisogna avere pazienza e fiducia nell’anno alle porte per vederli realizzati.

In primo luogo, è infatti indubbio che, dopo la grave correzione immobiliare del 2021-23, la Cina su quel fronte si stia avvicinando al fondo e nel 2024 l’edilizia potrebbe contribuire alla crescita invece di sottrarla. I recenti sforzi del Governo cinese per stabilizzare il finanziamento del settore immobiliare, anche attraverso la richiesta alle banche statali di tornare a erogare credito al mattone oltre a sostenere le società immobiliari nell’emissione di obbligazioni e con capitale di rischio, stanno dando i primi frutti.

In secondo luogo, la distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Cina e la riapertura di alcuni fronti, fanno ben sperare per un ritorno alla globalizzazione, considerando che il commercio globale non può prescindere dalle merci cinesi. Il fatto che la bilancia commerciale cinese abbia mostrato, nel mese di novembre, un surplus in crescita a 68,39 miliardi di dollari, rispetto ai 66,49 miliardi dello stesso mese del 2022 e ben oltre i 58 miliardi stimati dagli analisti, lo conferma. I dati, diffusi dalle Dogane cinesi, hanno infatti evidenziato esportazioni in aumento su base annua dello 0,5%, a 291,93 miliardi di dollari, dunque positive per la prima volta in 7 mesi, contro attese per un calo dell’1,1%.

Infine, il jolly del 2024 è che la Cina potrebbe tornare al pragmatismo di mercato che l’ha resa protagonista della globalizzazione negli ultimi decenni. Gli esperti di sicurezza e politica dubitano che Xi Jinping abbia un solo osso orientato alla riforma. Certo, è difficile immaginare che la Cina inverta oggi la rotta sullo statalismo, ma era altrettanto difficile immaginare che mettesse fine alle politiche zero-Covid l’anno scorso o che vendesse quote delle compagnie petrolifere nazionali agli stranieri 20 anni fa. La riforma non è l’ipotesi di base per la Cina 2024, ma il gigante asiatico ha un passato di sorprese e la riforma è una possibilità più che banale. Ecco perché le aziende intelligenti stanno proteggendo l’opzione di rimanere nel gioco della Cina.