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La Fed non tocca i tassi, quando il primo taglio?

Tutto come nelle attese. La Federal Reserve americana ha lasciato i tassi di interesse invariati: il costo del denaro resta fermo fra il 5,25% e il 5,50%. Ma non finisce qui. Da giugno la banca centrale americana imporrà un tetto di 25 miliardi di dollari al mese ai Treasury, dai 60 attuali, mantenendo a 35 miliardi quella dei mortgage-backed securities. Una mossa che allenterà la pressione del Dipartimento del Tesoro e sulle emissioni di Treasury.

Tassi di interesse fermi

Partiamo dal costo del denaro. Per giustificare la decisione di mantenere fermo il costo del denaro, la FED ha fatto capire che nessun taglio sarà effettuato “fino a quando non avremo maggiore fiducia sulla traiettoria dell’inflazione verso il target del 2%”.

“E’ improbabile che la prossima mossa sia un rialzo dei tassi di interesse” ma ottenere la “fiducia necessaria” per tagliare il costo del denaro richiederà più tempo di quanto previsto, ha detto il presidente della Fed Jerome Powell, sottolineando che l’inflazione resta troppo alta.
“La politica monetaria è restrittiva e sta pesando sulla domanda” ma anche sul mercato del lavoro che, seppur “solido, si è raffreddato”, aggiunge Powell.

Complessivamente, lo stato dell’economia americana resta solida. Nel comunicato diffuso al termine della due giorni di riunione, la FED ha spiegato che “i recenti indicatori suggeriscono che l’attività economica ha continuato a espandersi. Il mercato del lavoro resta solido, e il tasso di disoccupazione basso. L’inflazione è rallentata nell’ultimo anno ma resta elevata. Negli ultimi mesi c’è stata una mancanza di progressi verso l’obiettivo del 2%”.

Quando attendersi il primo taglio?

Con l’inflazione che resta elevata, i mercati finanziari si aspettano solo un taglio dei tassi di interesse quest’anno, a novembre, secondo il FedWatch del Cme. In pratica, il mese in cui si svolgeranno le Elezioni Usa.

Per James McCann, vicecapo economista di abrdn:

“L’ottimismo della Fed sul fatto che l’inflazione si stia dirigendo senza soluzione di continuità verso l’obiettivo è stato scosso dall’impennata della crescita dei prezzi registrata quest’anno. Infatti, nelle dichiarazioni alla stampa di ieri la Fed avverte che i progressi sono in fase di stallo e che è necessario che il trend riprenda prima di procedere a un taglio dei tassi. Il presidente Powell probabilmente ribadirà questo messaggio nella prossima conferenza stampa, minacciando addirittura che altre cattive notizie potrebbero compromettere la possibilità di tagliare i tassi quest’anno. Tuttavia, è probabile che la banca centrale mantenga una politica restrittiva, il che implica che l’inflazione si ridurrà con il tempo e che non si prevedono a breve ulteriori aumenti dei tassi”.

La BCE taglierà prima della FED?

A questo punto, mercato e analisti danno come scontato che la BCE alzerà i tassi prima della controparte americana. “Si tratta storicamente di un evento particolarmente raro: la Bundesbank, che per statuto può essere considerata l’antesignana della BCE, ha ridotto i tassi prima della FED solo tre volte nella sua storia, ossia negli anni Settanta, a seguito del crash del 1987 e a seguito della riunificazione tedesca all’inizio degli anni Novanta” ha spiegato in una nota Luca Vallarino, responsabile Trading Desk e gestore e membro del Comitato Investimenti di IMPact sgr.

Per rafforzare l’aspettativa dei mercati che, seppur rara, tale mossa è tuttavia credibile, Christine Lagarde ha più volte ribadito l’indipendenza della BCE dalla FED, dalle sue decisioni e dai suoi obiettivi di mandato.

Come ha recentemente dichiarato il croato Boris Vujcic, governatore della banca centrale croata e quindi anche membro del consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE),  la BCE può sicuramente muoversi per prima, ma questa divergenza verrà sentita. Ridurre i tassi in maniera non sincronica rischia infatti di indebolire il tasso di cambio euro/dollaro, che del resto si è già mosso nelle ultime settimane.

“Il punto principale di un euro più debole è che, se da un lato potrebbe giovare all’attrattività delle aziende europee e quindi favorire la crescita economica (al pari di quanto accaduto in Giappone nel corso dello scorso anno), dall’altro lato, l’effetto non voluto potrebbe essere il ritorno di un’inflazione importata, causata soprattutto dall’incremento del prezzo delle materie prime, le quali vengono negoziate quasi tutte in dollari”