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L’impatto della fiscalità sugli incentivi ai manager

Per incentivare i manager delle aziende nelle operazioni di buy out sono sempre più utilizzate forme alternative di remunerazione che vengono tassate come investimenti di capitale

di Christian Montinari e Carlotta Benigni – DLA Piper
Le strategie di crescita e di incentivazione del management aziendale nelle operazioni di buy out sono state analizzate dalla ricerca di Aifi realizzata in collaborazione con lo studio legale DLA Piper sul “Buy out e incentivi ai manager”. Il rapporto si è posto l’obbiettivo di analizzare le operazioni effettuate in Italia negli ultimi 10 anni al fine di catturare i principali trend e variazioni. In primis, emerge la rapida crescita di queste operazioni rispetto al passato, testimoniata dal fatto che nel solo 2022 sono state 185, per circa 11 miliardi di euro di capitale investito, pari al 46% dell’ammontare complessivo.

Gli incentivi più utilizzati.

Gli strumenti di incentivazione più utilizzati sono stati il re-investimento di soci e soci/manager in società del gruppo investitore o nella target, gli strumenti di sweet equity, ossia l’assegnazione di azioni o titoli portatori di diritti patrimoniali rafforzati (c.d. carried interest) e, seppur in riduzione rispetto al passato, bonus in denaro parametrati al ritorno ottenuto al momento del disinvestimento da parte dell’investitore (c.d. exit rachet).

Il ruolo del fisco.

Il mutato trattamento fiscale applicabile alle diverse tipologie di incentivazione, e le relative ripercussioni sull’effettivo guadagno da parte del manager, è stata la motivazione principale del riposizionamento da parte degli operatori del settore da strumenti di exit rachet a forme alternative di carried interests o sweet equity. Infatti, mentre nel caso dell’exit rachet il bonus è considerato parte della remunerazione da lavoro dipendente, e come tale tassato con aliquota marginale Irpef del 43%, oltre addizionali e contributi sociali. Nel caso degli strumenti di sweet equity è possibile, se lo strumento soddisfa determinati requisiti, considerare la relativa remunerazione come reddito finanziario tassato al 26%.

In particolare, il Decreto 50/2017 ha introdotto un regime specifico per i carried interest, in base al quale l’extra-rendimento collegato agli strumenti di carried interest viene qualificato per legge come reddito finanziario. Le tre condizioni per beneficiare del regime sono: l’investimento minimo del manager deve comportare un esborso effettivo almeno pari all’1% del patrimonio netto della target, la maturazione dell’extra rendimento deve avvenire solo a seguito della distribuzione a tutti i soci di un rendimento minimo (hurdle rate) e i manager devono detenere l’investimento per un periodo minimo di 5 anni, salvo il caso in cui non si verifichi un trasferimento della partecipazione di controllo della società partecipata.

Anche in assenza delle tre condizioni evidenziate, a seconda delle specifiche circostanze sarà comunque possibile considerare il carried interest come reddito finanziario, quando lo strumento abbia caratteristiche tali che consentono di ravvisare un allineamento tra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito e pertanto sia possibile “scollegare” l’extra rendimento dall’attività lavorativa svolta e invece considerarlo (e tassarlo) come remunerazione di un investimento di capitale.

Sebbene talvolta la verifica della presenza delle condizioni previste dal legislatore per considerare l’extra rendimento come reddito finanziario possa essere piuttosto complessa nell’ambito delle operazioni di private equity, dovuta anche a interpretazioni poco chiare emesse dall’amministrazione finanziaria, si tratta evidentemente di uno strumento di incentivazione e retention dei manager estremamente efficace. In conclusione, l’utilizzo illuminato della variabile fiscale potrebbe rappresentare la chiave fondamentale per intercettare e trattenere capitale umano e favorire il raggiungimento di obiettivi strategici (e.g. ESG).

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di aprile del magazine Wall Street Italia. Clicca qui per abbonarti