di James Luke, Fund Manager, Metals, Schroders

Schroders: oro, il bull-market è destinato a continuare

Nonostante le vendite quasi ininterrotte da parte degli investitori occidentali nel corso del 2023 e del 2024, l’oro ha superato i precedenti massimi storici e oggi è scambiato sopra i 2.300 dollari l’oncia. Le liquidazioni occidentali sono state superate dagli acquisti di banche centrali, investitori e famiglie orientali. La Cina ha guidato queste dinamiche, ma non si è trattato di un fenomeno solo cinese: la domanda è cresciuta significativamente anche in Medio Oriente e altrove.

Le fragilità geopolitiche e fiscali – tendenze collegate a demografia e deglobalizzazione, che stanno modellando il futuro dei mercati – si stanno combinando per determinare una crescente attrazione globale verso l’oro. Tutto ciò potrebbe innescare uno dei bull market più forti dai tempi in cui il presidente Nixon cancellò il ‘gold standard’ nel 1971, ponendo fine alla convertibilità del dollaro in oro.

I titoli auriferi scambiano ancora a valutazioni minime

Mentre i prezzi dell’oro sono saliti, le azioni aurifere sono rimaste indietro. Nonostante i solidi fondamentali, trainati dal bull market dell’oro guidato dall’Oriente, le valutazioni sono vicine ai minimi degli ultimi 40 anni, a causa del debole sentiment occidentale nei confronti dell’oro e degli scarsi risultati operativi di alcuni “leader” del settore. Cosa potrebbe indurre un cambiamento?

La frase “i mercati determinano le opinioni” potrebbe essere modificata in “i margini determinano le opinioni” per le società minerarie. Con prezzi medi dell’oro di circa 2.200 dollari l’oncia da inizio anno e la nostra view sul fatto che l’inflazione dei costi sia destinata a rallentare considerevolmente, ci aspettiamo di assistere a una forte espansione dei margini e alla generazione di flussi di cassa nel corso dell’anno. Riteniamo che il forte flusso di cassa e la disciplina finanziaria diventeranno difficili da ignorare e col tempo cominceranno a spostare il sentiment.

Dopotutto, non è esagerato affermare che il settore minerario dell’oro potrebbe registrare un rally del 50% e risultare ancora poco costoso. Con una capitalizzazione di mercato totale di circa 300 miliardi di dollari, il settore azionario aurifero è stato sostanzialmente ignorato, ma crediamo che le cose cambieranno. Se c’è mai stato un momento in cui includere i titoli auriferi in un’allocazione pluriennale sui metalli preziosi, pensiamo che sia questo.

La forza dell’oro rispecchia il passaggio a un mondo più multipolare

L’inasprimento delle linee di frattura geopolitiche attorno alla rivalità tra Stati Uniti e Cina e le sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 hanno spinto gli acquisti record di oro da parte delle banche centrali come asset di riserva monetaria. I 300 miliardi di dollari di riserve russe congelate dicono chiaramente cosa può significare la “militarizzazione” del dollaro o l’egemonia del dollaro. Anche le ingenti emissioni di Treasury Usa per finanziare il deficit suscitano dubbi riguardo alla sostenibilità del debito a lungo termine. Le banche centrali – in particolare, Cina, Singapore e Polonia nel 2023 – li hanno colti, anche se gli acquisti record hanno finora portato le riserve d’oro come quota delle riserve totali dal 12,9% alla fine del 2021 al 15,3% alla fine del 2023.

Sul lungo periodo, gli acquisti delle banche centrali rispecchiano bene l’evoluzione delle dinamiche geopolitiche e monetarie/fiscali globali. Tra il 1989 e il 2007 le banche centrali occidentali hanno venduto tutto l’oro che potevano, limitando le cessioni dopo il 1999 con gli accordi sull’oro per mantenere le vendite ordinate. In quel mondo post Unione Sovietica, con l’ascesa delle democrazie liberali guidate dagli Stati Uniti, la globalizzazione in accelerazione e parametri del debito statunitense singolari rispetto a quelli odierni, la “de-monetizzazione” dell’oro come asset di riserva sembrava del tutto logica.

La crisi finanziaria del 2008, l’introduzione del quantitative easing e le nascenti tensioni geopolitiche sono state sufficienti a porre fine alle vendite occidentali e a portare le banche centrali dei mercati emergenti a entrare silenziosamente nel mercato dell’oro per una media di 400 tonnellate all’anno tra il 2009 e il 2021. Grandi numeri (oltre il 10% della domanda annuale) ma non sismici.

L’acquisto di oltre 1.000 tonnellate di oro (il 20% della domanda globale) da parte delle banche centrali nel 2022 e 2023, un ritmo che è proseguito nel primo trimestre del 2024, è potenzialmente sismico. Sembra del tutto plausibile che le attuali dinamiche di tensione tra potere in carica e potere in ascesa, unite alla fragilità fiscale che incombe non solo sugli Stati Uniti, paese che emette la valuta di riserva, ma sull’intero blocco economico avanzato, possano innescare un movimento sostenuto verso l’oro.

In parole povere, il mercato dell’oro non è abbastanza grande per assorbire un movimento così sostenuto senza che i prezzi aumentino molto, soprattutto se anche altri attori globali cercano di entrare in questo mercato più o meno nello stesso momento.

Cresce la domanda da parte degli investitori cinesi

Le famiglie cinesi, che nel 2022 e 2023 hanno aggiunto trilioni di dollari a tassi di risparmio già record, sono uno di questi attori. La fine del trentennale bull market dell’immobiliare è stata la chiave per innescare un enorme cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’oro. Dubitiamo che si tratti di un fenomeno temporaneo.

Gli investitori occidentali, le cui vendite non sono state sufficienti a fermare i prezzi record dell’oro, sono un altro attore chiave, che potrebbe passare da venditore ad acquirente nei prossimi trimestri. Gli acquisti e le vendite degli investitori occidentali hanno seguito in modo affidabile le evoluzioni della politica monetaria. L’allentamento ciclico sembra ancora probabile quest’anno e un futuro dominato dalla fiscalità suggerisce che sarà necessario l’intervento della Federal Reserve per mantenere solvibile/liquido il mercato dei Treasury. L’oro continuerà a essere una copertura importante contro la credibilità fiscale delle banche centrali e degli Stati più in generale, che gli investitori occidentali utilizzeranno.