Mercati

Borse prudenti per escalation Medio Oriente, ma niente panico. Cosa aspettarsi

Dopo un primo momento di sbandamento, le Borse mondiali guardano alla guerra in Medio Oriente mantenendo un atteggiamento guardingo ma senza lasciarsi prendere dal panico. Sullo sfondo restano le questioni macroeconomiche e di politica monetaria.

Borse miste

Borse europee deboli in avvio di giornata. Milano cede lo 0,5% nel Ftse Mib, Parigi lo 0,72%, Francoforte lo 0,5%, Amsterdam lo 0,4% mentre Madrid e’ piatta e Londra si conferma in controtendenza (+0,3%).

Questa mattina la Borsa di Tokyo ha chiuso la seduta in deciso rialzo, con il Nikkei 225 che guadagna l’1,97% a 38.552,06 punti. Segno più anche a Wall Street. Ieri, la Borsa Usa ha archiviato la seduta appena sopra la parità, dopo che un martedì decisamente pensante. Al termine della seduta, il Dow Jones ha guadagnato 39,55 punti (+0,09%), lo S&P 500 è salito di 0,79 punti (+0,01%), il Nasdaq ha chiuso in rialzo di 14,76 punti (+0,08%).

Cosa aspettarsi

Mentre il clima tra Israele e Iran si fa sempre più teso, Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, spiega che un’escalation del conflitto militare in Medio Oriente potrebbe spingere i mercati verso un atteggiamento di avversione al rischio. I prezzi del petrolio potrebbero aumentare a causa delle preoccupazioni sull’offerta e del possibile impatto sul traffico nello Stretto di Hormuz. I mercati azionari potrebbero subire vendite, guidate dall’aumento del premio al rischio, in particolare nella regione.

Se il conflitto dovesse proseguire – dice l’esperto – si potrebbe osservare una divergenza nella performance azionaria in base alla “geografia” e all’impatto del conflitto sugli utili. Per esempio, le aziende esportatrici potrebbero soffrire dell’instabilità geopolitica, mentre alcuni dei grandi nomi tecnologici statunitensi, ad esempio, potrebbero essere relativamente isolati dalla questione. Gli asset meno rischiosi, come i titoli di stato dei paesi sviluppati, potrebbero beneficiare della situazione, ma il loro rendimento potrebbe dipendere, in una certa quota parte, dalle prospettive sull’inflazione.

Per quanto riguarda l’impatto sull’inflazione, questo dipenderà dall’entità e dalla durata del conflitto. Più tempo durerà il conflitto, maggiore sarà il potenziale impatto sulla catena di approvvigionamento globale, aggiunge Flax.

Per arrivare a influenzare direttamente gli attuali cicli monetari di FED e BCE, il conflitto dovrebbe avere una durata prolungata. D’altro canto, però, un deciso aumento dei prezzi del petrolio e difficoltà crescenti per le catene di approvvigionamento potrebbero spingere l’inflazione al rialzo.

Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia sottolinea che, al momento, esiste una preoccupazione tra gli investitori in attesa della risposta di Israele. Tuttavia -aggiunge –  finora il danno complessivo a Israele sembra molto limitato. La mossa dell’Iran sembra molto una rappresaglia (come quella di aprile) e non ci dovrebbe essere un ulteriore escalation da parte di Teheran.

“Lo scenario peggiore per i mercati è invece quello di una significativa escalation nel conflitto con la possibile decisione da parte di Israele di attaccare target strategici per l’economia iraniana o strutture del settore petrolifero (Kharg Island OilTerminals, Bandar Abbas port, etc)”. In questa situazione, “i prezzi del petrolio potrebbero salire alle stelle e complicare notevolmente gli scenari macroeconomici anche per le banche centrali globali, in un momento in cui gli istituti centrali si stanno dirigendo verso una modalità di allentamento sulla base del fatto che i rischi di inflazione si sono attenuati notevolmente”.

Come ridurre l’impatto della volatilità dei mercati

Mentre il clima in Medio Oriente si surriscalda, per gli investitori diventa sempre più cruciale il tema della strategia adottare per limitare l’impatto della volatilità del mercato. Secondo UBS Global Wealth Management, l’oro continua a essere interessante come copertura contro i rischi geopolitici e i potenziali cambiamenti nella politica statunitense derivanti dalle elezioni. Il metallo dovrebbe inoltre beneficiare di ulteriori tagli dei tassi della Fed, della robusta domanda delle banche centrali e dell’aumento dell’appetito degli investitori attraverso gli exchange traded funds.

“Prevediamo che l’oro raggiunga i 2.750 dollari l’oncia entro la fine dell’anno e i 2.900 dollari entro l’ultimo trimestre del 2025” scrivono in una nota gli esperti della banca elvetica, aggiungendo che “allo stesso modo, anche le posizioni nel petrolio possono fungere da copertura di portafoglio contro l’aggravarsi della crisi in Medio Oriente, mentre i fondamentali del mercato sono anch’essi positivi, a nostro avviso”.

A sostenere le azioni, almeno a Wall Street – spiegano gli esperti della banca elvetica – ci sono le prospettive di un atterraggio economico morbido negli Stati Uniti, unito ai tagli dei tassi della Fed, ai solidi utili e all’ottimismo sulla commercializzazione dell’intelligenza artificiale.

“Sebbene ci aspettiamo un’ulteriore volatilità nei prossimi mesi a causa delle elevate tensioni in Medio Oriente e in vista delle elezioni americane di novembre, non riteniamo che gli investitori debbano apportare modifiche sostanziali al proprio portafoglio. Storicamente, gli effetti dei conflitti internazionali sui mercati si attenuano rapidamente. Dal 1941, secondo le nostre stime, l’S&P 500 è salito due terzi delle volte nei 12 mesi successivi all’inizio di una crisi geopolitica e la metà delle volte i mercati hanno impiegato solo un mese per riprendersi”.