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Petrolio: rischio fiammata per Goldman Sachs, prezzi potrebbero salire di $20 al barile

Dopo una settimana in rally, le quotazioni del petrolio aprono la nuova ottava all’insegna dei ribassi: le preoccupazioni per l’eccesso di offerta e la domanda più debole contrastano le preoccupazioni che un più ampio conflitto in Medio Oriente possa ridurre la produzione iraniana.

Le quotazioni

Questa mattina i futures del Brent segnano un ribasso di 28 centesimi, o dello 0,36%, a $77,77 al barile mentre i futures statunitensi del greggio West Texas Intermediate sono scivolati di 19 centesimi, pari allo 0,26%, a $74,19 al barile.

Le prese di beneficio arrivano dopo una settimana in corsa: il Brent è salito di oltre l’8%, segnando il più grande guadagno settimanale dal gennaio 2023, mentre il contratto WTI ha realizzato un aumento del 9,1% su base settimanale, il massimo dal marzo 2023, sulle aspettative che Israele possa colpire le infrastrutture petrolifere iraniane in risposta all’attacco missilistico iraniano contro Israele del primo ottobre.

“Le prese di profitto tecniche sembrano essere la spiegazione più logica”, ha detto alla Reuters Priyanka Sachdeva, analista di mercato senior presso Phillip Nova, in merito all’indebolimento dei prezzi del petrolio.

Secondo gli esperti di ANZ Research, nonostante il rally dei prezzi del petrolio della scorsa settimana, l’impatto del conflitto sull’offerta di petrolio sarà relativamente modesto.

“Riteniamo che un attacco diretto agli impianti petroliferi iraniani sia la risposta meno probabile tra le opzioni di Israele”, hanno spiegato alla Reuters. “Inoltre, abbiamo assistito a una diminuzione dell’impatto degli eventi geopolitici sull’approvvigionamento di petrolio. Questo ha fatto sì che negli ultimi anni il premio per il rischio geopolitico sia stato applicato ai mercati petroliferi in misura significativamente minore e i 7 milioni di barili al giorno di capacità inutilizzata dell’OPEC forniscono un ulteriore cuscinetto”.

Le attese degli analisti

Guardando alle prospettive future, gli analisti di Goldman Sachs stimano che, il prossimo anno, i prezzi del petrolio possano salire di 20 dollari al barile, se la produzione iraniana subisse un un calo sostenuto di 1 milione di barili al giorno e che il cartello petrolifero OPEC+ si astenga dall’ aumentare la produzione. Se i principali membri dell’OPEC+, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, dovessero invece compensare alcune delle perdite di produzione, i mercati petroliferi potrebbero registrare una spinta minore, leggermente inferiore ai 10 dollari al barile.

Secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro:

Il rischio di un’escalation resta elevato, e un eventuale peggioramento potrebbe innescare un nuovo picco nei prezzi del greggio e una fuga verso gli asset più sicuri. Tuttavia, bisogna anche considerare che negli ultimi anni gli Stati Uniti e altre economie chiave hanno incrementato la loro produzione energetica, riducendo parzialmente il rischio di uno shock dell’offerta. E con l’Arabia Saudita pronta a ripensare i suoi tagli volontari alla produzione, potremmo assistere a un aumento dell’offerta che potrebbe mitigare la pressione sui prezzi”.

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) insieme ai suoi alleati, tra cui Russia e Kazakistan, ovvero l’ OPEC+, dispongono di milioni di barili di capacità di riserva, poiché negli ultimi anni ha tagliato la produzione per sostenere i prezzi in presenza di una domanda globale debole, sufficiente a compensare l’intera perdita di forniture iraniane nel caso in cui Israele mettesse fuori uso gli impianti del Paese. Tuttavia, il cartello potrebbe trovarsi in difficoltà nel caso in cui l’Iran si vendicasse colpendo gli impianti dei suoi vicini del Golfo. Nell’ultima riunione del 2 ottobre, l’OPEC+ ha mantenuto invariata la sua politica di produzione petrolifera, compreso un piano per iniziare ad aumentare la produzione a partire da dicembre.