La tedesca Volkswagen e l’italo-francese Stellantis sono due esempi lampanti di come oggi il settore automobilistico è in grave difficoltà. Da centro nevralgico dell’economia in Europa, che ha registrato un eccezionale redditività registrata all’indomani delle restrizioni dovute al Covid-19, l’automotive si sta con tutta probabilità dirigendo oggi verso un periodo di redditività inferiore rispetto alla media a lungo termine.
E Secondo Jonathan Pitkänen, responsabile ricerca sul credito IG, investimenti EMEA & Asia di Columbia Threadneedle Investments sono quattro i fattori principali che spiegano questa difficoltà: le relazioni sindacali, la diffusione di veicoli elettrici a batteria (BEV), la normativa sulle emissioni e la situazione economica in Cina. Il settore si trova ora ad affrontare sfide senza precedenti, sostiene l’esperto.
I saldi di cassa di molti dei principali costruttori europei, accumulati negli ultimi tre anni, sono in ottima forma, ma saranno messi alla prova da una tempesta in arrivo. Parte del problema potrebbe essere evitato se le normative venissero allentate, o se venissero approvate/rafforzate le sovvenzioni per le vendite di veicoli elettrici a batteria.
I quattro fattori che spiegano la crisi del settore automobilistico
L’esperto individua tra i motivi che comportano la crisi del settore in primis il fatto che il settore automobilistico, sia in Europa che nel Nord America, è fortemente sindacalizzato.
Molte case automobilistiche del Vecchio Continente non sono state in grado di reagire con sufficiente prontezza alle evoluzioni del quadro normativo, delle dinamiche di mercato e delle abitudini dei consumatori proprio a causa di una certa rigidità che caratterizza questo settore provocata dalla sua lunga tradizione sindacale. Ad esempio, i tentativi di Volkswagen di ridurre i costi e riportare il marchio a una redditività media di lungo periodo sono stati ostacolati dai contratti di lavoro collettivi a lungo termine dei suoi dipendenti che rendono licenziamenti e chiusure di stabilimenti quasi impossibili da realizzare.
In secondo luogo, l’espansione delle vendite di veicoli elettrici a batteria (Bactery Electric Vehicle, BEV) è rallentata sia in termini di crescita assoluta delle vendite sia, soprattutto, a causa del calo della fiducia dei consumatori. Nell’ultimo anno la penetrazione delle vendite di BEV in Europa non solo ha ristagnato ma si è addirittura invertita, passando dal 22% dell’agosto 2023 al 14,4% ad agosto 2024.
Tuttavia, anche escludendo la Germania, la crescita di BEV resta anemica; senza un maggiore sostegno governativo in termini di costruzione di infrastrutture e incentivi per i veicoli elettrici, non ci aspettiamo una crescita significativa della quota di mercato in questo segmento, con conseguenti possibili ammende per i costruttori.
Terzo fattore, il fatto che quasi sicuramente le case automobilistiche europee non raggiungeranno gli attuali obiettivi di emissioni e le ammende previste ammontano a 95 euro per ogni grammo di CO2/km eccedente il limite.
Le case automobilistiche europee hanno esercitato pressioni sui policymakers sia direttamente sia attraverso l’Associazione dei Costruttori Automobilistici Europei (European Automobile Manufacturers Association, ACEA), che nel settembre 2024 ha pubblicato un articolo sulle probabilità di conseguire gli obiettivi sopraelencati, intitolato “Auto industry concern on 2025 CO2 targets as EV market stagnates“. L’articolo cita il Rapporto sulla competitività dell’ex presidente della BCE Mario Draghi, nel quale si legge che “il settore automobilistico è un esempio centrale di mancata pianificazione da parte dell’UE, che applica una politica climatica senza una politica industriale“. La normativa UE sulle emissioni dovrà pertanto essere allentata per non compromettere in misura significativa la redditività dei costruttori di auto europei. Il governo italiano, riconoscendo i pericoli della legislazione nella sua forma attuale, ha già chiesto di modificare la normativa.
Da ultimo la Cina. I costruttori di auto europei non solo risentono del calo della domanda cinese, ma sono anche esposti a una concorrenza potenzialmente sleale sia nel mercato cinese che in quello europeo. Ad oggi, infatti, il mercato cinese rappresenta oltre il 30% delle vendite delle principali case automobilistiche europee, come Volkswagen, BMW e Mercedes Benz; tra queste, BMW ha emesso un allarme sugli utili a settembre in parte a causa della “persistente debolezza della domanda cinese”.
Parallelamente, Volkswagen ha registrato un calo del 45% degli utili derivanti dalle sue joint venture cinesi tra il 2017 e il 2023. Più in generale, la quota di mercato dei costruttori stranieri in Cina è scesa al 37% a luglio 2024 (dal 64% del 2020). In passato si è parlato molto di sovraccapacità nell’industria automobilistica cinese, sia per i costruttori nazionali che per quelli internazionali, il che ha aggravato la situazione per i produttori europei che vedevano nella Cina la gallina dalle uova d’oro e un mercato chiave per le loro esportazioni.