di Christiaan Tuntono Senior Economist, Asia Pacific di Allianz GI

Trump 2.0, una sfida per Cina e Asia

Riteniamo che la seconda amministrazione Trump possa complicare il quadro macroeconomico di Cina e Asia.

Se il nuovo presidente terrà fede alle promesse elettorali, gli Stati Uniti potrebbero adottare una rigida politica protezionistica nei confronti della Cina in campo commerciale, con conseguenze negative a cascata sul resto del continente asiatico. Anche se la minaccia di Trump di imporre dazi doganali del 60% su tutte le importazioni dalla Cina e del 10% sulle importazioni dagli altri Paesi del mondo fosse solo una tattica per avvantaggiarsi nei negoziati commerciali, l’incertezza che ne deriva potrebbe essere sufficiente per penalizzare gli scambi mondiali. L’eventuale effettivo aumento dei dazi doganali provocherebbe gravi danni alle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti e al commercio asiatico con l’estero per gli anni a venire.

Il protezionismo di Trump comprometterebbe anche la ristrutturazione delle filiere globali dentro e fuori i confini asiatici. L’imposizione di dazi penalizzanti sulle importazioni dalla Cina indurrebbe un maggior numero di aziende cinesi a delocalizzare all’estero e meno aziende straniere a investire direttamente in Cina, aggravando così i deflussi netti di investimenti diretti esteri dalla Cina. L’intenzione di Trump di allargare le misure protezionistiche oltre i prodotti “Made in China”, tramite l’imposizione di dazi doganali elevati sulle merci cinesi (come i veicoli elettrici) prodotte nelle economie straniere (ad esempio il Messico), dovrebbe frenare gli investimenti diretti della Cina in altre economie emergenti, con effetti negativi sulla ristrutturazione delle filiere globali attualmente in corso.

Infine, crediamo che la combinazione di rialzo dei dazi doganali e riduzione delle imposte prospettato da Trump dovrebbe risultare inflazionistica per gli Stati Uniti. Una simile eventualità ostacolerebbe il processo di allentamento della politica monetaria della Federal Reserve (la banca centrale statunitense, Fed), il che implicherebbe tassi di interesse USA più alti e dollaro più forte. Ne subirebbero le conseguenze anche molte economie asiatiche, soprattutto quelle che soffrono di un indebolimento della domanda interna e di crescenti ostacoli al commercio con l’estero. In presenza di valute meno stabili, potrebbe ridursi il margine di manovra delle banche centrali asiatiche nell’allentamento della politica monetaria a sostegno della domanda nelle rispettive economie interne.

In sintesi, durante la seconda amministrazione Trump, Cina e Asia potrebbero dover affrontare maggiori ostacoli alla crescita economica, ma anche un contesto esterno meno favorevole a politiche monetarie espansive. La crescita sarà messa a dura prova, mentre la stabilità valutaria resterà sotto pressione nel 2025 e oltre.

Gli asset rischiosi in Asia registreranno probabilmente una maggiore volatilità, anche se dovrebbero beneficiare ancora in certa misura della politica di riduzione dei tassi della Fed.

La prossima settimana

La settimana prossima vedrà protagonisti gli indici dei prezzi al consumo (CPI) del Giappone e dell’Eurozona, nonché gli indici dei responsabili degli acquisti (PMI) di GiapponeUSA ed Eurozona.

Lunedì in Giappone saranno resi noti gli ordinativi di macchinari del mese di settembre, che daranno un’idea dei recenti investimenti di capitale. Inoltre gli Stati Uniti pubblicheranno l’indice del mercato residenziale National Association of Home Builders (NAHB) relativo a novembre.

Martedì conosceremo gli indici CPI e CPI core di ottobre dell’area euro, che il mercato userà per fare previsioni sulle prossime decisioni di politica monetaria della Banca Centrale Europea. Negli USA saranno pubblicati i permessi di costruzione e gli avvii di nuovi cantieri in ambito residenziale di ottobre.

Mercoledì usciranno i dati di ottobre sulla crescita degli scambi e sulla bilancia commerciale del Giappone. La Cina comunicherà le proprie decisioni in merito ai tassi di riferimento (Loan Prime Rate) a 1 e 5 anni per novembre.

Giovedì gli USA renderanno noto il sondaggio della Fed di Philadelphia di novembre condotto fra le imprese. Negli USA saranno inoltre pubblicati i dati sulle richieste iniziali e di rinnovo di sussidi di disoccupazione e sulle vendite di case esistenti a ottobre.

Venerdì conosceremo gli indici dei prezzi al consumo headline e core del Giappone per il mese di ottobre, che a nostro avviso potrebbero influenzare le prossime decisioni di politica monetaria della Banca del Giappone. Negli Stati Uniti usciranno gli indici del sentiment dell’Università del Michigan. Inoltre, Giappone, Eurozona Stati Uniti pubblicheranno i PMI di novembre.