Prudente, alloca i suoi soldi prevalentemente nei fondi comuni e nei titoli di Stato, con una spiccata avversione per il rischio che lo porta ad evitare gli strumenti finanziari complessi e quelli illiquidi e nella maggior parte dei casi si muove seguendo i consigli della sua banca senza preoccuparsi di conflitti d’interesse che possono condizionare l’attività di consulenza dell’intermediario di fiducia. Questo l’identikit del risparmiatore fai da te secondo l’ultima indagine della Consob sul risparmio amministrato dagli intermediari per conto della clientela retail, in cui viene esaminata, tra l’altro, la composizione dei portafogli in un periodo di tredici anni, da giugno 2010 a giugno 2023.
Investitori fai da te: quali prodotti preferiscono
L’indagine rivela come in cima alle preferenze degli investitori fai da te troviamo i fondi comuni e i titoli di Stato. L’incidenza dei primi in particolare è andata progressivamente crescendo dal 16,6% del 2010 al 53,8% del 2023 (in flessione rispetto al picco del 61% del 2022). I titoli di Stato si piazzano subito dietro, avendo un peso che nel periodo di riferimento è rimasto più o meno stabile, oscillando dal 19,3% del 2010 al 22,5% del 2023 con un forte balzo rispetto al 2022 (15%).
Ridotta esposizione alle obbligazioni
Inoltre nell’Occasional Paper “Analisi delle principali caratteristiche del risparmio retail amministrato dalle banche”, pubblicato sempre dalla Consob, mostra anche che fra il 2010 e il 2023 i risparmiatori hanno scelto di ridurre drasticamente la loro esposizione verso le obbligazioni, per lo più bancarie, passate dal 50% all’8%. I dati evidenziano un forte alleggerimento anche per i titoli illiquidi (scesi dal 30,7% al 3,1%) e per quelli complessi (dal 17,5% al 6,3%). Stabile, invece, la quota della componente azionaria detenuta al di fuori dei fondi d’investimento, che rappresenta appena il 14%, incidenza sostanzialmente stabile nel periodo esaminato.
Salgono poi gli investimenti connotati da un potenziale conflitto d’interesse (dal 41% al 58,8%) la cui natura si sposta progressivamente dall’offerta di strumenti finanziari emessi dalle stesse banche agli incentivi di collocamento, con controvalori passati da 333 miliardi di euro a circa 606 miliardi di euro; parallelamente, lo stock di strumenti non in conflitto si è ridotto da 478,5 miliardi di euro (59%) a 430 miliardi di euro (41,5%).
L’Autorithy guidata da Paolo Savona in particolare ha preso in considerazione le seguenti circostanze connesse a specifiche tipologie di strumenti finanziari che possono in astratto determinare situazioni della specie: strumenti emessi dalla medesima banca che agisce da depositario per la clientela; strumenti emessi da ente controllante o altro soggetto appartenente al Gruppo della banca depositaria; strumenti finanziari che normalmente prevedono la percezione di inducements (anche di tipo ricorrente) per il distributore/depositario.
Nel dettaglio, tra gli strumenti finanziari in conflitto, i fondi comuni pesano complessivamente per l’87,7% (circa 532 miliardi di euro), seguiti dai certificates il 7% (43,6 miliardi di euro), obbligazioni bancarie il 2,7% (16,3 miliardi di euro) e dalle azioni bancarie l’1,9% (11,5 miliardi di euro). I titoli non in conflitto sono riconducibili primariamente invece a titoli di Stato italiani, ai quali fanno capo circa 349 miliardi di euro (50,4%), ad azioni (ordinarie, speciali, privilegiate, di risparmio) per circa 133 miliardi di euro (31%), ad obbligazioni (ad esempio, ordinarie, subordinate, strutturate) per 28,4 miliardi di euro (6,6%) e ad ETF per 21,4 miliardi di euro (5%).