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Investimenti, non è il talento che ti fa vincere

Da ragazzo giocavo a basket. Playmaker, il regista, quello che tiene la palla, che decide chi tira, chi taglia verso il canestro e chi deve starsene buono nell’angolo a fare da esca. Un ruolo che non ti fa fare molti punti, ma che ti mette al centro del gioco. Già allora capivo che non serve essere sempre i più forti o i più talentuosi: serve metodo e testa. Non ci credi?
Pensa a Kobe Bryant. Non era un fenomeno naturale, non aveva la mano di Steph Curry o la fisicità di LeBron James. Ma aveva qualcosa che nessuno poteva battere: una disciplina di ferro. Si svegliava alle 3 del mattino per allenarsi, quando gli altri stavano ancora dormendo. Si è costruito, pezzo dopo pezzo, allenamento dopo allenamento. È diventato uno dei migliori di tutti i tempi perché non ha mai mollato e ha continuato ad allenarsi sui fondamentali, anche quando era diventato uno dei migliori.

Trasformare una sconfitta in vittoria.

Michael Jordan, un altro che non ha bisogno di presentazioni, l’ha detto meglio di chiunque altro: “Nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri, ho perso quasi 300 partite, 26 volte mi è stato affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.” Capito? Ha vinto perché ha fallito. Ha fallito più di tutti, ma non si è fermato. Ecco una lezione che vale oro per chiunque voglia investire: accetta l’errore, impara da quello e vai avanti.
Troppo spesso, invece, vedo investitori che si comportano come quei giocatori da “campetto” che vogliono fare la schiacciata spettacolare per impressionare la folla, senza costruire il gioco. Risultato? Perdono la palla e la partita. Investire è come giocare una partita lunga, fatta di passaggi, difese e tiri piazzati. Non di acrobazie. Lo sport ti fa guardare lontano, all’obiettivo, alla vittoria, non al singolo punto. Lo stesso vale per gli investimenti: smettiamo di ossessionarci con il valore quotidiano del portafoglio e guardiamo al lungo termine. È lì che si vince la partita.
Lo sport ti insegna anche che perdere è parte del gioco. Fa male, certo, ma ti aiuta a crescere. In finanza, invece, appena c’è una perdita tutti vanno in tilt. L’avversione alla perdita è una potente trappola comportamentale, ti fa vedere il rosso sul conto come un fallimento totale, quando invece è solo un passo del percorso. Accettare la perdita, analizzarla e farne tesoro: questo è ciò che separa i dilettanti dai veri campioni, in campo come nei mercati.
Un’altra grande lezione dello sport? Il gioco di squadra. Jordan senza Pippen non avrebbe vinto nulla. Kobe senza Shaq e poi senza Gasol nemmeno. E poi c’era Phil Jackson, il Maestro Zen, l’allenatore che ha insegnato a Kobe il valore del team e che gli ha fatto sposare la filosofia del triangolo offensivo, un sistema di gioco basato sulla collaborazione e sulla lettura del campo.

Come gestire le proprie emozioni.

Negli investimenti, come nello sport, serve qualcuno che ti aiuti a vedere e superare i tuoi limiti, a correggere i tuoi bias, a gestire le tue emozioni, a costruire una strategia. Non puoi essere sempre il Jordan o il Kobe della situazione, ma puoi costruire un team che ti metta nelle condizioni di vincere. Puoi circondarti di professionisti che ti aiutino in questo, consulenti comportamentali in grado non solo di gestire investimenti, ma persone.
Lo sport è una scuola perfetta per chi vuole imparare a investire bene, perché ci insegna tutto questo: disciplina, resilienza, metodo, visione. Non è il punto che ti fa vincere, è il gioco. Se non lo capisci, meglio che resti in panchina!

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di dicembre 2024 del magazine Wall Street Italia. Clicca qui per abbonarti.