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IL TIRO AL VELTRONI

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(WSI) – Diciamo la verità: il gioco politico dell’estate è il tiro al piccione su Walter Veltroni. È fatale che chi perde le elezioni trovi un mucchio di gente pronta a spiegargli come va la vita. Nel caso di Veltroni si va oltre: dopo non aver saputo vincere, non saprebbe nemmeno fare opposizione. Insomma, Antonio Di Pietro e Paolo Ferrero hanno le idee chiare, Walter no.

Si aggiunga quel che sta succedendo a Torino: il sindaco più popolare d’Italia, Sergio Chiamparino, dice che se potesse evitare di prendere la tessera del partito nelle sezioni della sua città lo farebbe volentieri. Ancora. I prodiani del Pd vogliono il congresso anticipato. Gli amici di Francesco Rutelli sono depressi dopo la sconfitta di Roma, ma non accettano di caricarsene la responsabilità. Massimo D’Alema gioca una sua partita dal percorso per ora indecifrabile. Il quadro dello scollamento così è completo.

In realtà, Veltroni fa quello che può. Ha il merito storico di aver semplificato la geografia politica italiana e di aver tentato di cancellare l’antiberlusconismo come ragione sociale del centrosinistra. L’ha fatto pur sapendo che nella pancia del suo partito l’avversione per il Cavaliere resta molto forte. Era inevitabile che questo atteggiamento desse fiato al populismo di Antonio Di Pietro, il quale – pur dichiarandosi liberale e moderato – oggi è molto più vicino alle nuove posizioni di Rifondazione comunista che a quelle del suo (ex?) alleato alle elezioni di aprile.

Veltroni si è trovato con le spalle scoperte e ha spostato la frontiera in avanti, alla grande manifestazione antigovernativa di metà ottobre, ai cinque milioni di firme da raccogliere sotto lo slogan “Salva l’Italia”. Doveva farlo, visto che dal mondo dei vecchi girotondini (Paolo Flores d’Arcais) arriva la proposta di fare liste civiche alle elezioni europee per mandare il Pd al 25 per cento.

Le grandi manifestazioni d’opposizione sono certamente un ricostituente democratico, ma per avere successo debbono trovarsi in sintonia con il sentimento prevalente nel Paese. È sicuro Veltroni che a sei mesi dalle elezioni il governo di centrodestra sia impopolare? La situazione economica è quella che è, ma lo slogan “Salva l’Italia” può essere rischioso, se la manovra economica triennale di Giulio Tremonti ha un respiro oggettivamente diverso dal pasticcio del governo precedente che fu giudicato indigeribile dalle stesse forze del centrosinistra.

Una opposizione riformista, piaccia o non piaccia, dialoga con il governo in carica. Il federalismo fiscale e la riforma della magistratura sono due eccellenti occasioni per testare la credibilità della maggioranza e dell’opposizione. Sul primo punto, pare che l’orrido Calderoli – additato negli anni al disprezzo del popolo della sinistra – abbia fatto un progetto niente male che il Partito democratico guarda con interesse.

Sulla riforma della giustizia per ora non abbiamo indicazioni, salvo una, molto importante: Angelino Alfano fa ripartire il suo progetto dai lavori della Bicamerale. Molti non lo ricordano, ma allora fu raggiunto un accordo proprio nel ridisegnare la figura del pubblico ministero. E Massimo D’Alema, quando si parla di giustizia, dice che bisogna ripartire dalla commissione di cui fu presidente dieci anni fa. Insomma, temi sui quali testare Veltroni non mancano. Ben vengano le grandi adunate, ma gli esami si fanno altrove.

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