Società

CHI PAGHERA’ LA CRISI

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Cosa sta succedendo sui mercati finanziari americani? In forme diverse, tutto il settore è incagliato in ingenti perdite su enormi esposizioni di rischio nel mercato dei mutui immobiliari. Non è facile capirne le cause, né tanto meno prevederne gli esiti. Gli unici ad avere idee precise sono quelli che osservano la situazione attraverso spessi occhiali ideologici. Alcuni vi vedono il crollo di mercati finanziari inevitabilmente instabili, nonché l’avverarsi delle tante previsioni sulla fine del capitalismo.

Altri vedono nella crisi semplicemente un naturale riaggiustamento dei prezzi in un mercato efficiente, senza grandi conseguenze. Pur nell’incertezza e nella confusione di questi tempi, alcuni comuni fraintendimenti sono però evidenti. Prima di tutto, la crisi finanziaria è grave e profonda, ma la fine del capitalismo non è ancora cominciata.

Che sia recessione o meno, la situazione macroeconomica negli Stati Uniti non appare infatti al momento di gravità paragonabile a quella finanziaria. Il Pil è sceso dello 0.2% l’ultimo trimestre del 2007, ma è cresciuto da allora, addirittura del 3.3% nel secondo trimestre del 2008. I mercati finanziari, quando funzionano, operano per distribuire e allocare il rischio nell’economia e quindi assorbono in parte i colpi ai settori produttivi. Fino ad ora questo meccanismo ha sostanzialmente funzionato.

Sono infatti soprattutto gli azionisti del settore finanziario a piangere: chi possedeva azioni di Bear Stearns e di Lehman Brothers ha perso quasi tutto il capitale. Ma anche chi ha finora evitato il peggio non ride: dallo scorso ottobre Goldman Sachs ha perso più di un terzo del proprio valore, UBS oltre il 60%, Merrill Lynch quasi l’80%.

E i managers? Sono ai Caraibi a godersi i proventi dei fallimenti delle società che amministravano? Molti, anche in accademia, argomentano che i managers americani godano di notevoli rendite. Ed è notizia di ieri che agli ex amministratori delegati di Fannie Mae e Freddie Mac spettano circa 5 milioni di dollari ciascuno di pensione. Ma non tutti operavano in regime di socializzazione delle perdite, come Fannie e Freddie.

È difficile argomentare che i manager delle banche private non avessero incentivi ad evitare la crisi: quelli più esposti hanno perso il lavoro (e che lavoro: di quelli da 100 milioni di dollari l’anno) e buona parte del valore delle quote che detenevano delle loro società (e che quote: l’l.4% di Lehman posseduto dal suo amministratore delegato, R. Fuld, ha perso 650 milioni di dollari in meno di un anno). Come questi managers occupino ora il tempo libero ritrovato grazie alla pensione anticipata è tutto sommato meno rilevante che non a quali incentivi fossero esposti negli anni passati.

E cosa dire dei tanti che nella crisi finanziaria hanno perso la casa? Non sono loro a pagare i veri costi di questa crisi. I costi psicologici di lasciare la propria abitazione possono anche essere elevatissimi. Però non dimentichiamo l’aspetto fondamentale, l’unico diretto e misurabile: hanno preso a prestito, si sono comprati una casa, e non hanno ripagato il mutuo. In tali circostanze, sarà ben il creditore e non il debitore a perdere maggiormente.

Ma allora perché le banche si sono così esposte verso questi mutui? Si dice che nessuno realmente capisse la struttura dei rendimenti dei sofisticati strumenti finanziari divenuti tanto popolari sui mercati, come le varie forme di Mortgage Backed Securities. Naturalmente non è così. L’analisi accurata dei modelli di previsione usati dalle banche e dei rapporti dei loro analisti precedentemente alla crisi (di K. Gerardi, A. Lehnert, S.M. Sherlund, e P. Willen, tutti economisti della Federal Reserve) suggerisce che esse fossero perfettamente in grado di prevedere, e infatti in alcuni casi avessero previsto accuratamente, gli effetti di un calo dei prezzi degli immobili sul valore delle proprie attività.

Indubbiamente però le banche non hanno saputo prevedere la dinamica dei prezzi immobiliari dal 2007 ad oggi. Nell’agosto 2005 Lehman assegnava solo il 5% di probabilità a scenari che comportassero una diminuzione dei prezzi. Ciò, nonostante molti osservatori già nel 2005 parlassero di una bolla immobiliare. Come quindi comprendere la fiducia riposta dalle banche in un continuo apprezzamento degli immobili? Non credo vi siano ancora risposte convincenti a questa domanda.

La mancanza di solide previsioni sull’andamento dei prezzi immobiliari è anche una ragione dell’incertezza latente riguardo alla durata e all’entità della crisi. La sua estensione dalle banche alle società di assicurazione, che pare ora prospettarsi viste le difficoltà di AIG, non può che accrescere infine il timore di gravi conseguenze sull’economia reale.

Copyright © La Stampa. Riproduzione vietata. All rights reserved

parla di questo articolo nel Forum di WSI