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DOLLARO DEBOLE: E’ UN BENE O UN MALE?

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(WSI) – Per molti la sorpresa della settimana é stata il dollaro, che ha sforato la soglia di 1,50 contro l’euro. Per chi analizza freddamente il fenomeno invece non solo questa non é una sorpresa, ma si tratta della conferma delle sensazioni che si erano avute all’inizio della crisi, quando ancora qualche ingenuo pensava che il problema fossero i mutui sub-prime. Il dollaro sembra, da anni, chiaramente pilotato verso il basso dalle autorità di Washington. Ciò viene fatto essenzialmente per spingere le esportazioni americane e aiutare l’economia più importante del mondo a riprendersi.

Cosa, peraltro, di cui abbiamo bisogno tutti. Sono in molti a negare che ci possa essere una precisa volontà politica in questa scelta di tenere il dollaro basso, e infatti l’amministrazione Usa continua – ufficialmente – a negare. Altri sostengono che non solo non é possibile, ma che sarebbe una manovra pericolosa perché indebolisce le riserve valutarie asiatiche. In realtà il gioco é molto più sottile, almeno in teoria: lasciando che il dollaro si indebolisca, gli americani obbligano cinesi ed altri a comprarne ancora per evitare che il calo sia ancora più marcato. E’ del tutto evidente, insomma, che dietro questa vicenda del dollaro basso c’è un insieme di operazioni diplomatiche e economiche molto sofisticate.

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Ed è anche chiaro che la verità non la saprà mai nessuno e che le interazioni su una questione cosi rilevante sono tali da impedire una correlazione diretta tra intenzioni ed effetti. Però di fronte all’euro – e alla sterlina, che sembra pronta ad ulteriori svalutazioni e di cui si ricomincia a parlare di entrata nell’euro – il dollaro basso si erge sempre più come barriera commerciale e le nostre esportazioni continueranno a soffrire.

Per cui, oltre ai più modesti stimoli che le economie europee stanno ricevendo (rispetto a quella americana o cinese), anche la moneta lavora pesantemente contro gli industriali del vecchio continente. E non si intravedono mutamenti di scenario. Anzi, se arabi, russi e cinesi attuassero ciò che ogni tanto sostengono, cioè di voler spostare verso l’euro parte delle loro operazioni commerciali e valutarie, il rischio é quello di un ulteriore rafforzamento della moneta unica (con un danno ulteriore per i nostri esportatori nell’area del dollaro). Insomma, un’eventuale “fuga” (anche parziale) dal biglietto verde (come chiesto da molti “riformatori”) finirebbe per giocare contro l’economia europea e non a favore.

E, forse, bisogna anche mettersi in testa che non siamo di fronte a una situazione passeggera, destinata a rientrare nel giro di qualche settimana o di qualche mese. Il dollaro debole, cioè, non è uno dei tanti “eccessi” del mercato in momenti confusi come quelli che stiamo vivendo. Probabilmente c’è sotto qualcosa di più sostanzioso.

Un panel di Bloomberg, giorni fa, indicava che nei prossimi mesi il rapporto dollaro/euro tornerà a 1,6 per poi correggere verso 1,44/1,45 per la fine del 2010. Per cui gli esperti vedono la situazione come ormai strutturale. E noi europei non potremmo che continuare a farne le spese.

Gli unici che stanno beneficiando di questo sono gli imprenditori che negli anni scorsi sono andati ad installarsi negli Stati Uniti con fabbriche che già stanno respi­rando un’aria di ripresa. Non é un fenomeno molto diffuso perché fare stabilimenti in Nord America é stato per decenni sinonimo di rischio eccessivo per le aziende europee (e quindi lo hanno fatto in pochi). Però chi ha avuto il coraggio di provarci oggi ha due vantaggi: 1) riuscire ad acchiappare la ripresa, quando ci sarà, prima di altri e 2) beneficiare di export a costi estremamente competitivi.

In questo quadro le varie Finmeccanica e Luxottica, tra le medio grandi, e Brembo, Interpump, Datalogic, tra le medie, avranno fatturati in crescita e costi che scendono. Cose che invece chi é stato qui tranquillo a gestire fabbriche nel ricchissimo Nord Est, non potrà avere. Per chissà quanto tempo.

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