Lo scorso 30 dicembre l’Ue e la Cina hanno raggiunto un accordo sugli investimenti che porta a compimento sette anni di trattative. Nonostante questo ampio lasso di tempo, l’accordo sarebbe stato chiuso in fretta, per poter precedere l’insediamento della nuova amministrazione americana e rispettare la scadenza che si era prefissato il presidente cinese Xi Jinping. Presentato da entrambe le parti come un grande successo, il valore economico di questo accordo avrà portata limitata e il suo orizzonte di applicazione sarà ristretto. Ad affermarlo è l’economista Alicia García Herrero, senior fellow del think-tank europeista Bruegel e capo economista per l’area asiatico-pacifica di Natixis.
Cina: fra propaganda e realtà
La notizia dell’accordo era stata trasmessa dai media riprendendo i toni entusiastici di Bruxelles, secondo i quali il Comprehensive Agreement on Investment (Cai) avrebbe favorito gli investimenti europei in Cina, la quale avrebbe aperto una serie di settori un tempo “protetti”. Questo avrebbe aumentato la parità di trattamento fra imprese europee e cinesi, stimolando la crescita.
Per la Cina il Cai ha un valore più politico che economico, in quanto dimostra agli Usa il clima di apertura reciproca venutosi a creare fra Pechino e gli “alleati” europei. Un messaggio geopolitico “pessimo” per Bruxelles, secondo uno dei maggiori commentatori del Financial Times, Gideon Rachman, per il quale questo accordo dimostra implicitamente che all’Ue importano di più gli affari con la Cina, piuttosto che la ferma condanna agli abusi perpetrati ai danni di Hong Kong, Taiwan, e delle oppressioni nello Xinjiang.
Quello che è importante sottolineare, però, è che il vantaggio economico ottenuto dai negoziatori Ue, in cambio di questo “pessimo messaggio geopolitico”, sarebbe di poco conto.
I vantaggi del Cai per le imprese Ue
“Dal punto di vista europeo” l’accordo sarebbe rivolto a “migliorare l’accesso al mercato per le aziende europee che operano – o intendono operare – in Cina e garantire parità di condizioni, nonché reciprocità. Limitatamente a questo obiettivo, il Cai soddisfa tali aspettative? La risposta è un sonoro no”, scrive la capo economista di Natixis Alicia García Herrero.
La reciprocità fra le imprese Ue che investono in Cina e quelle cinesi che investono in Europa è ancora lontana. Non solo: resta irrisolto il problema dei sussidi cinesi alle imprese che falserebbero la concorrenza ai danni delle imprese europee che operano nel Paese. “Prima di tutto, sono coperte [dal Cai] solo le sovvenzioni nel settore dei servizi, mentre la maggior parte degli investimenti dell’Ue in Cina è nella manifattura, per la quale i sussidi non possono essere messi sotto esame”, spiega l’economista.
“In secondo luogo, anche all’interno del settore dei servizi, il meccanismo di controllo è scadente poiché la risoluzione delle controversie fra Stato e Stato, inclusa nel trattato, non si applica ai sussidi”. In altre parole, se la Cina dovesse sovvenzionare, ad esempio, un’impresa nazionale che produce auto elettriche, il comparto più importante fra quelli “aperti” nell’ambito di questo accordo, tale concorrenza sleale nei confronti di un competitor europeo non potrebbe essere sanzionata.
Le imprese europee potranno comunque approfittare di alcune concessioni da parte della Cina, benché “poche e limitate”.
“I tre principali settori in cui sono state fatte le concessioni sono i veicoli elettrici, le telecomunicazioni e gli ospedali privati”, ha proseguito l’economista, “per quanto riguarda primo, si applica solo ai nuovi investimenti in veicoli elettrici e solo se non c’è un eccesso di capacità produttiva in una determinata provincia”.
Per quanto limitati, i vantaggi per le imprese europee ci sono; la speranza dei negoziatori Ue, dunque, è che il Cai si riveli un “piccolo pasto gratis”. Ma non è affatto scontato, secondo la Herrera. Innanzitutto, perché potrebbe verificarsi una reazione da parte degli Stati Uniti, che restano di gran lunga un partner commerciale più rilevante rispetto alla Cina. Inoltre, potrebbe ridursi lo spazio politico per nuove normative europee in grado di proteggere le imprese dalla concorrenza di aziende estere favorite da sussidi governativi. “La questione è se l’Ue” ora che c’è un accordo con la Cina, “oserà andare avanti con i suoi sforzi per proteggere il suo mercato dalla concorrenza sleale legiferando contro le sovvenzioni straniere”.