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(WSI) – Nell’immaginario museo delle tecnologie che stanno cambiando il nostro tempo, tra carcasse di famosi computer estinti e frammenti di programmi essiccati, sta da oggi lo scheletro gigantesco del dinosauro che appena dieci anni or sono dominava il panorama di Internet: lo scheletro del browser Netscape, del programma che creò Internet come oggi la conosciamo e la usiamo, spalancando le porte della esplorazione e dello sviluppo della rete per milioni di ignari e di smarriti cibercavernicoli. Dal primo febbraio prossimo, Netscape sarà abbandonato al suo destino di sicura estinzione dalla società che lo possedeva, America On Line.
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La decisione di staccare la spina dal programma di esplorazione del Web che alla fine degli anni ’90, praticamente un’era geologica addietro nel brodo primordiale dell’informatica, era usato dal 93 per cento dei navigatori in rete e di lasciarlo morire nasce dalla semplice constatazione che Netscape aveva perduto la propria primizia e si era ridotto a meno dell’1 per cento del mercato. Nello spietato darwinismo del “brave new world” cibernetico, il venerabile e venerato esploratore che era stato il Virgilio capace di guidare la visita nell’aldilà dell’informazione, dell’intrattenimento, della cultura e del commercio chiamato in breve Internet, è stato divorato da creature più feroci di lui e più abili nell’adattarsi all’ambiente.
Ma creature non necessariamente migliori, come vorrebbe la mistica del mercato che premia la “trappola per topi” più efficace. Netscape è stato sconfitto dal Tirannosaurus Rex dell’informatica, dalla Microsoft che lo sbranò utilizzando un programma concorrente, Explorer notoriamente peggiore, ma sostenuto dalla potenza e dalla prepotenza commerciale di Bill Gates e della casa di Redmont. Alla metà degli anni ’90, quando Netscape aveva in pratica la totalità degli esploratori di Internet mentre Gates era convinto che la rete sarebbe stata (parole sue) “una moda passeggera”, il “tirannosauro” si scosse dal proprio torpore, comperò da altri lo scadente Explorer, lo accoppiò obbligatoriamente al proprio programma operativo Windows, quello che fa girare quattro quinti dei pc nel mondo ed escluse dal pacchetto il concorrente Netscape. Segnandone l’inizio della fine.
Fu un atto di pura tracotanza commerciale e di violazione delle leggi antitrust, riconosciuto come tale dai tribunali americani che condannarono la Microsoft a multe importanti e portarono 720 milioni di dollari in danni punitivi nella casse di Netscape, che nel frattempo era stata assorbita da America On Line, perché nella giungla ogni animale è insieme preda e predatore. Ma neppure quella iniezione di contanti poteva salvare il magnifico dinosauro, ormai assalito non soltanto dal browser di Bill Gates, ma da altri voraci concorrenti che stavano spolpandolo. A disposizione di chi oggi voglia aprire la finestra sul mondo del web ci sono dozzine di browser maggiori e minori, dal solito Explorer arrivato alla nona e sempre vulnerabile versione, a Safari, da Opera a Firefox, discendente di Netscape, agli almeno quaranta disponibili per chi usi il sistema Linux.
Tutti svolgono la stessa funzione, secondo l’intuizione di un futurologo mormone americano, Neil Larson, che nel 1977 immaginò la possibilità di uno strumento logico, di un linguaggio informatico che potesse spalancare il mondo della comunicazione e dell’accesso ai non iniziati e ai non specialisti. Da quella idea nacquero i linguaggi e i protocolli astrusi, composti da acronimi quali Html, Http, Https, Ftp, Url, che avrebbero dissuaso i meno coraggiosi e i più allergici, se non fossero stati ricomposti e tradotti in forma umane attraverso programmi semplici come il progenitore Mosaico. Le tessere sparse e disseminate, che potevano essere raggiunte soltanto con connessioni dirette, divennero parte di un mosaico visibile e accessibile. Quel mosaico che oggi anche i bambini, non sempre felicemente, frequentano ed esplorano grazie ai browser che permettono di leggere, vedere e ascoltare, di caricare e scaricare materiale in rete, ricercato con l’utilizzo dei programmi di ricerca che dentro i browser funzionano, come Google e Yahoo, ma che senza di loro non potrebbero girare.
Fu proprio Netscape, con quel nome altamente evocativo, composito di “Net”, la rete, e di “scape”, panorama, e quel suo logo un po’ sognante, a introdurre la versione più stabile e più agibile dei programmi di esplorazione scritti fino all’anno in cui fu lanciato con il proprio nome, il 1994, dopo essersi fatto chiamate Mosaic Netscape. Il successo fu esplosivo. Il titolo, offerto per la prima volta in Borsa a 14 dollari, quintuplicò in pochi giorni, raggiungendo i 75 dollari, un balzo senza precedenti, e i suoi profitti raddoppiavano ogni trimestre. Netscape era diventato l’Internet, perché senza di esso non ci sarebbe stata la processione degli utenti verso la nuova terra promessa e il suo successo fu la sua sentenza di morte.
Quando il Tirannosauro di Gates si scosse dalla propria sonnolenta presunzione, in pochi anni lo divorò destinandolo a quel museo nel quale un giorno i padri porteranno i bambini a mostrare come nacque la vita sul pianeta Internet.
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