La decisione di Wim Duisenberg, presidente della Banca Centrale Europea, di lasciare invariato il tasso di interesse al 2,75 per cento, riservandosi di ridurlo in futuro ove la congiuntura peggiorasse, non convince. Addossa la colpa della fiacca dei consumi e degli investimenti non alla debole congiuntura, ma a incertezze causate dai pericoli di conflitto. Così
velatamente incolpando Bush della stentata crescita europea.
Ma la politica monetaria genera i suoi effetti solo con uno sfasamento temporale, in quanto le decisioni di spesa, influenzate dal tasso di interesse, richiedono tempi lunghi. E l’annuncio che i tassi saranno ribassati non ora ma in seguito induce a posticipare gli investimenti. Il differenziale fra euro e dollaro, inoltre, fa salire artificiosamente l’euro, comprimendo le esportazioni.
I tempi per ridurre i tassi europei, quindi, sarebbero già maturi. E’ adesso che la Germania presenta un pericoloso avvitamento. La tesi di Duisenberg, che ciò sia causato dai rischi di conflitto, non regge: se tale rischio esistesse, non comporterebbe alcuna minaccia all’Europa. E la credibilità di Duisenberg su questi temi è indebolita dal fatto che, polemizzando per una questione legata al passaporto diplomatico della moglie, ha preso, con una lettera pubblica, una posizione duramente contraria al governo olandese, schierandosi a favore di Arafat, e contro Israele.
I governi non debbono interferire con le scelte monetarie dei banchieri centrali, ma questi non hanno titolo per interferire con le scelte di politica internazionale e di sicurezza dei governi. Duisenberg, secondo gli accordi, dovrà lasciare la Bce a metà anno per fare posto a un presidente francese. Ha quindi annunciato le dimissioni ma ha anche dichiarato che è disposto a restare per più tempo per “gestire la transizione”.
Il modo superficiale con cui ha effettuato il passaggio all’euro, l’eccesso di riserbo sulle linee di fondo della politica monetaria della Bce, le dichiarazioni su temi che non gli competono, la lentezza nel ridurre i tassi e la resistenza a coordinare la politica monetaria europea con quella degli Usa, fanno dire, senza rimpianti, addio a Mister Duisenberg.
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