Economia

Addio voucher, sale costo datori lavoro

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Aboliti i voucher, la grande platea di datori di lavoro che ne facevano uso per retribuire (almeno sulla carta) le prestazioni lavorative occasionali debbono ora fare i conti con soluzioni alternative. Nati per combattere il lavoro nero, i buoni lavoro sono finiti sul banco degli imputati per l’uso estensivo (un vero e proprio boom) che celava, a detta dei sindacati, una nuova forma di precariato.

In attesa di nuovi decreti ad hoc per creare nuovi forme di pagamento sostitutive, resta praticabile soprattutto la strada del contratto a chiamata. Attraverso questa forma di rapporto di lavoro si possono retribuire prestazioni saltuarie, con limiti molto rigidi. E, in ogni caso, il conto da pagare sotto forma di contributi e imposte è più salato sia per i datori di lavoro che per il lavoratore.

Al momento, il primo limite che si scontra con questo contratto è quello anagrafico: esso non può essere applicato ai lavoratori di età compresa fra i 25 e i 55 anni, poiché il legislatore ha inteso evitarne l’utilizzo nella fase di piena attività lavorativa. Questo strumento, inoltre, configura un rapporto di lavoro subordinato anche se il lavoratore ha la facoltà di decidere se accettare o meno la “chiamata”.

Tale contratto prevede diritti come le ferie, la malattia e i contributi previdenziali, con conseguenti costi. Mentre il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi pieni, il “job on call” contribuisce alla formazione del reddito da lavoro subordinato per il lavoratore, a differenza dei voucher. Secondo quanto scrive il Corriere, per corrispondere l’equivalente di 10 euro tramite voucher, l’azienda deve sborsare fino a 25 euro con un contratto a chiamata.

Un’altra differenza rispetto a una semplice retribuzione tramite voucher è che con il contratto a chiamata anche quando il lavoratore non offre nessuna prestazione, riceve comunque un’indennità di disponibilità per tutto il periodo durante il quale potrebbe essere richiesto. Esiste poi, un altro limite fondamentale, quello delle giornate lavorative massime: 400 nell’arco di tre anni. Oltre tale limite il contratto dev’essere convertito in un rapporto a tempo indeterminato.

Il governo è già all’opera per smussare gli angoli di questa tipologia contrattuale in modo che possa assorbire maggiormente l’area un tempo “coperta” dai voucher. Innanzitutto il futuro decreto sui Job on call punta a rimuovere i vincoli d’età; ma saranno introdotte anche semplificazioni per la stipula del contratto per le aziende sotto i 10 dipendenti.