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Affitti brevi, modifiche al ddl Santanchè su Airbnb. Cosa c’è dentro

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Dal finire di maggio quando era stato pensato il disegno di legge fino all’inizio di settembre con la trasformazione in decreto. Un’accelerata improvvisa per il ddl affitti elaborato dal Ministero del Turismo, tanto che già lunedì potrebbe essere presentato al Consiglio dei Ministri. Durante i giorni in cui la Ministra del Turismo, Daniela Santanchè, è impegnata in una missione internazionale tra Cina e Corea, gli uffici si stanno affrettando per finalizzare questa questione.

Obiettivo del decreto è istituire una normativa omogenea a livello nazionale per regolare le locazioni ad uso turistico, combattere l’abuso in questo settore e garantire il rispetto di standard igienico-sanitari e di sicurezza per gli immobili affittati. Rispetto alla bozza uscita a inizio mese, ci sono state delle modifiche.

Le modifiche al disegno di legge sugli affitti

Tra le modifiche avvenute al testo, c’è quella della durata di notti per pernottare in una struttura turistica. Inizialmente, il ddl stabiliva che negli affitti brevi situati nei centri storici dei comuni capoluoghi delle città metropolitane, la durata minima doveva essere di almeno due notti consecutive, con multe da 5000 euro nel caso in cui non venisse rispettata questa regola. Ora però è stato chiarito un passaggio; nel testo ora c’è scritto che:

Il contratto di locazione per finalità turistiche avente ad oggetto uno o più immobili ad uso abitativo, nei comuni capoluoghi delle città metropolitane non può avere una durata inferiore a due notti consecutive, fatta eccezione per l’ipotesi in cui la parte conduttrice sia costituita da un nucleo familiare con almeno tre figli.

In pratica, non meno di due notti tranne se si hanno tre figli. Si reintroduce la variabile delle famiglie numerose per il limite di due notti, e sono stati tolti i requisiti soggettivi per affittare.

Per garantire la tutela della concorrenza, la sicurezza del territorio e per contrastare le forme irregolari di ospitalità, come inizialmente delineato nella bozza di inizio settembre, il Ministero del Turismo ha istituito una procedura automatizzata tramite la quale assegna un Codice Identificativo Nazionale (CIN) a ciascuna unità immobiliare ad uso abitativo destinata alla locazione turistica. Questo avviene previa presentazione telematica di una richiesta da parte del locatore, anche nel caso in cui quest’ultimo sia già in possesso di un Codice Identificativo Regionale (CIR) rilasciato dalla regione competente o di un Codice Identificativo rilasciato dal comune competente.

Confedilizia: “Testo lesivo e illiberale”

Il Ddl Santanchè approvato dal Ministero del Turismo non piace alle associazioni di categoria che lo considerano mirato a contrastare la locazione delle abitazioni private. Ecco il commento sui vari aspetti della normativa elaborato da 11 associazioni di categoria e diffuso da Confedilizia:

Le Associazioni scriventi ritengono che il testo diffuso sia palesemente mirato – senza alcuna ragionevole motivazione – a contrastare la locazione delle abitazioni private. Ciò, attraverso l’introduzione di un numero ingiustificato di divieti, limitazioni, requisiti e obblighi, alcuni dei quali di impossibile applicazione. Ritengono, inoltre, che si tratti di un testo fortemente lesivo del diritto di proprietà, profondamente illiberale e in molte sue parti contrario ai principi costituzionali.
Considerano, poi, che esso determinerebbe due effetti principali: da un lato, un aumento del sommerso; dall’altro, una crescita dei prezzi delle forme di ospitalità alternative, a cominciare da quella di tipo alberghiero.

Marco Celani, presidente di Aigab – Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi: ha commentato:

Rimane il limite delle 2 notti solo per le città metropolitane e viene costretto chi ha più di due case ad aprire partita Iva. Parliamo di un decreto-legge senza requisiti di necessità e urgenza diversi i profili di impugnabilità sia costituzionali che di rispetto delle norme europee su proprietà privata e concorrenza, dal nostro punto di vista

Quante sono le case in affitto in Italia

L’impennata dei prezzi delle case nelle grandi città e la difficoltà di accesso alla proprietà abitativa da parte di una parte significativa della popolazione urbana sono fenomeni reali e preoccupanti. Nel 2021 5,2 milioni vivevano in affitto, stando ai dati Istat. Nei principali centri italiani, le case in affitto sono tantissime; se prendiamo ad esempio Milano, stando al Rapporto “La casa in locazione in Italia e in Europa – Focus Milano e Lombardia” presentato a marzo di quest’anno, i contratti di affitto sono cresciuti del 7% annuo, con i canoni in crescita del 3,5 per cento negli ultimi 18 mesi. Si stima che entro il 2030 si realizzeranno oltre 14 mila alloggi, di cui 5mila destinati alla locazione.

L’utilizzo di piattaforme come InsideAirbnb.com per analizzare il numero di annunci di locazione turistica nelle principali città costituisce uno strumento prezioso per approfondire la comprensione dell’impatto di tali piattaforme sull’offerta abitativa. Prendiamo ad esempio Roma, dove più di 26.000 appartamenti sono su Airbnb. Ma numeri alti si registrano anche a Firenze e Venezia. Nel primo caso se ne contano 11.800 su Airbnb, nel secondo circa 7.950.