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Afghanistan, dopo la morte dei 4 alpini, e’ il momento del ritiro delle nostre truppe

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Dopo l’attacco agli alpini in Afghanistan ripartono le polemiche sulla missione. La Russa propone di armare gli aerei italiani. Il ministro della Difea a ’In mezz’ora’ spiega che la sua decisione di non armare i bombardieri è stata motivata, innanzittuto, da alcuni rischi che comporta una scelta del genere. «Quando le bombe vengono sganciate dall’alto c’è il rischio che vadano a toccare anche zone di civili. Per questo ho detto di no». Ma ora, aggiunge il ministro della Difesa, «non me la sento più di assumere questa decisione da solo, di fronte a quello che sta avvenendo: voglio che sia confortata o cambiata dalle commissioni parlamentari competenti. Io accetterò ogni decisione del Parlamento».

Il problema della sicurezza dei militari italiani in Afghanistan dovrà essere valutato dal Parlamento e quando ciò avverrà il Pd farà una «valutazione di merito» sull’opportunità di armare gli aerei italiani con le bombe. Lo dice Piero Fassino durante la trasmissione ’In 1/2 ora’, alla quale ha partecipato anche il ministro Ignazio La Russa. «È un problema delicato che va valutato in tutti i suoi aspetti», dice Fassino. «Il ministro non ha proposto di armare gli aerei, ha proposto che il Parlamento verifichi se l’attuale livello di sicurezza è sufficiente o no e se bisogna prendere altre decisioni».

«Io – aggiunge Fassino – dico che è bene che il Parlamento discuta senza atteggiamenti propagandistci; secondo, assumiamo provvedimenti che non ci espongano a nuovi rischi, per esempio il rischio di ricadute sulla popolazione civile usando le bombe». A domanda precisa su questo punto, Fassino ha risposto: «Non essendo un ufficiale e un esperto di cose militari, non ho nessuna valutazione di questo genere. Mi propongo, assieme al mio gruppo parlamentare, di fare le valutazioni di merito e sulla base di queste assumeremo la posizione che riterremo più giusta».

Nel loro sito ufficiale Internet e poi in dichiarazioni all’agenzia di stampa afghana Aip, i talebani, per bocca del portavoce Qari Muhammad Yousaf, hanno detto che nell’attacco «dieci veicoli del convoglio sono stati distrutti con la morte di tutti i soldati che si trovavano a bordo». Nella stessa rivendicazione, in cui non si cita la nazionalità delle vittime, gli insorti hanno indicato che nella zona sono avvenuti l’8 sera e nel pomeriggio di ieri altri due attacchi contro convogli della Nato.

Una camera ardente sarà allestita presso la sala “Folgore” del Regional Command West di Herat, il quartier generale dei militari italiani in Afghanistan, per rendere l’ultimo saluto ai quattro alpini uccisi ieri in un’imboscata nella provincia di Farah. Le esequie si svolgeranno a partire dalle ore 13 locali, con l’apertura della camera ardente, seguita alle 16 dalla messa funebre celebrata dal cappellano militare di Camp Arena, la sede del comando del contingente italiano.

Alle 17 la camera ardente verrà riaperta fino alle 18.15, quando i feretri, spiegano al comando di Herat, «saranno trasferiti all’aeroporto per la benedizione e gli onori militari, prima di lasciare l’Afghanistan nelle ore successive». Il previsto arrivo delle salme in Italia è lunedì, mentre i funerali solenni potrebbero svolgersi martedì, ma su questo non ci sono ancora notizie ufficiali.

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Un’esplosione e, poi, uno scontro a fuoco. E’ stato un attacco “combinato” quello che oggi, in Afghanistan, ha ucciso quattro alpini del settimo reggimento di Belluno, arrivato in Afghanistan due mesi fa. Un loro commilitone è rimasto ferito in modo grave, «ma è cosciente e non è in pericolo di vita», assicurano al comando del contingente italiano.

L’agguato

Dal 2004, quando è cominciata la missione Isaf, le vittime italiane salgono così a 33. I fatti si sono verificati alle 9.45 locali, nel distretto di Gulistan, a circa 200 chilometri a est di Farah, al confine con l’Helmand. I militari italiani, a bordo di blindati Lince, stavano svolgendo un servizio di scorta a un convoglio di 70 camion civili che rientravano verso ovest dopo aver trasportato materiali per l’allestimento della base operativa avanzata di Gulistan, denominata “Ice”. All’improvviso l’esplosione, violentissima. Uno “Ied”, vale a dire un ordigno rudimentale di grande potenza, è esploso al passaggio di un blindato, distruggendolo. Per quattro dei cinque alpini a bordo non c’è stato niente da fare.

Le vittime

Nell’attacco hanno perso la vita Sebastiano Ville ( 27 anni, di Francofonte, nel Siracusano), Marco Pedone (23 anni, della provincia di Lecce), Gianmarco Manca (32enne di Alghero) e Francesco Vannozzi (26 anni, di Pisa). Dopo lo scoppio è seguito un violento scontro a fuoco, al termine del quale i militari italiani, come riferiscono al comando di Herat, hanno «messo in fuga gli aggressori». Il convoglio era già stato attaccato ieri con armi leggere. Era sto colpito un mezzo americano. Il ferito – con lesioni di vario tipo alle gambe – è stato immediatamente evacuato con elicotteri di Isaf. Si chiama Luca Cornacchia, 28 anni, di Pescina (L’Aquila): «E’ cosciente e ha risposto agli stimoli», viene sottolineato. Attualmente si trova ricoverato all’ospedale militare da campo di Delaram ed ha telefonato alla moglie per aggiornarla sulle sue condizioni.

Il cordoglio di istituzioni e politica

Tanti i messaggi dal mondo politico. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, «rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese, esprime i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei familiari dei caduti». Il premier Silvio Berlusconi si dice vicino «alle loro famiglie come lo sono, ne sono sicuro, tutti gli italiani». Il ministro degli Esteri Franco Frattini auspica che venga accelerata «l’assunzione delle responsabilità di sicurezza e controllo del territorio da parte dalle forze afgane». Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, chiede che il Governo avvii una fase di riflessione sulla strategia, mentre per il presidente dell’Idv Antonio Di Pietro «non ha più senso nè logica rimanere in Afghanistan in queste condizioni». Il ministro della Difesa Ignazio La Russa replica spiegando che chiedere ora il ritiro «è sciacallaggio».

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Il ferito su Facebook: “Sono stufo di stare in Afghanistan”. Sul social network i racconti degli alpini caduti in Afghanistan.

di ALICE CASTAGNERI

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – «Mi sono rotto di stare qua in Afghanistan, non si capisce nulla». Il messaggio, datato 3 ottobre, è l’ultimo che appare nella bacheca di Luca Cornacchia, il militare abruzzese ferito oggi nell’attacco in cui hanno perso la vita quattro alpini. Una pagina in cui, attraverso articoli, fotografie e musica, un ragazzo di 31 anni descrive la vita afgana e la complicata quotidianità con cui un soldato deve fare i conti. Online, però, i pensieri di Luca diventano messaggi forti e chiari. Tra una video di Carmen Consoli e una canzone di Vasco Rossi, spicca lo scatto di un soldato che dà la mano a un bambino del posto con lo slogan «non importa quando doniamo ma quanto amore mettiamo in quello che doniamo».

E ancora, tra nuovi link e nuove amicizie virtuali, parole di speranza. «Tranquilli cuccioli vi riporto tutti a casa…»: questo aveva scritto Luca parlando dei suoi commilitoni, tra i commenti di un filmato in cui scorrono le immagini dei soldati statunitensi che riabbracciano i propri cari. Poi, appunto, un pensiero alla famiglia e in particolare alla moglie. «AMORE SEI LA MIA VITA…»: così, tutto in maiuscolo, le aveva gridato il suo amore. Luca ce l’ha fatta, ma alcuni dei suoi compagni no. Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville, Marco Pedone sul quel sito non lasceranno più commenti. Di loro restano i ricordi degli amici e il dolore dei familiari. Per Marco, 23 anni, era la prima missione. Sebastiano, invece, era abituato a scenari di guerra. Il prossimo dicembre, infatti, dopo sette anni di ferma volontaria sarebbe diventato effettivo. Era un militare esperto, che spesso in passato si era trovato in zone ad alto rischio. Questa volta, però, proprio non voleva partire. Così dicono i genitori disperati. La madre lo aveva sentito solo ieri sera al telefono e le era sembrato tranquillo.

Francesco, 26 anni, era alla sua seconda missione. Viveva a Belluno, ma tornava spesso a San Giovanni alla Vena, il suo paese di origine. Un bravo ragazzo, che amava il volontariato. Così lo ricorda chi lo conosceva bene. Un’amica parla del loro ultimo incontro:«Era estate, alla festa del paese. Ci raccontava che di lì a poco sarebbe partito per l’Afghanistan». Sulla sua pagina Facebook tra le sue frasi preferite campeggia la scritta latina “Si vis pacem, para bellum”. Ovvero “se vuoi la pace, preparati alla guerra”. E lui in guerra c’era andato davvero. Poi ancora un’altra scritta di Albert Einstein: “Non so con quali armi combatteremo la Terza guerra mondiale, ma nella Quarta useremo sassi e bastoni”. E infine quelle ultime parole, che ora hanno un suono amaro, lasciate sulla prima pagina del suo profilo: “Credo nel dolore, credo nella paura, credo nella morte”. Sulla bacheca continuava a ripetere di “mangiare sabbia tutti i giorni”.

E gli amici gli rispondevano di tenere duro e gli dimostravano solidarietà e vicinanza. Ora, probabilmente, quegli stessi amici piangono davanti a casa sua. Anche Gianmario, 32 anni, sul social network qualche post lo aveva lasciato. Anche se le sue parole erano spesso insofferenti. Era arrivato a metà agosto e nei giorni precedenti alla partenza aveva lanciato un vero conto alla rovescia online. Sul suo profilo nello spazio dedicato alla propria descrizione aveva scritto: «Meglio morire in piedi che vivere una vita strisciando».

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