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Alesina: “l’austerità è il falso problema dell’Italia”

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di Alessandro Chiatto

Deficit e debito, come ridurli con le giuste misure. Ne abbiamo parlato con l’economista Alberto Alesina esperto di conti pubblici

«L’austerità non è un’ideologia, uno stato d’animo o, peggio, una perversione dell’anima. È semplicemente uno strumento, o meglio un insieme di strumenti di politica economica, necessari ad affrontare una situazione d’emergenza, a recuperare efficienza, a innalzare il prodotto potenziale, a introdurre maggiore equità sulla strada di un rinnovato sviluppo».

Lo scrive Ferruccio De Bortoli nella prefazione del libro “Austerità, quando funziona e quando no”. Di questo e molto altro abbiamo parlato con uno degli autori, l’economista Alberto Alesina.

Alberto Alesina, docente di Economia Politica ad Harvard.

Prof. Alesina, l’austerità può diventare uno strumento utile per la crescita di un Paese?

«Il termine austerità è stato usato in modo estremamente vago ed è diventato una sorta di ideologia. È una totale assurdità che ci siano coloro che sono a favore e coloro che sono contro. Per austerità, di fatto, si intendono le politiche di riduzione del deficit pubblico. È uno strumento come tanti altri di politica economica e fiscale. Se i governi seguissero sempre politiche fiscali e adeguate, non ci sarebbe bisogno dell’austerità perché i deficit fluttuerebbero in funzione del ciclo economico ma senza far crescere in modo esponenziale il debito. Nel 90% dei casi l’austerità è una medicina necessaria a causa di errori commessi in passato che hanno portato a un accumulo di deficit. Non è né un bene né un male, dipende semplicemente dalle condizioni e dai momenti, come qualsiasi altra politica economica».

All’interno del libro possiamo trovare un capitolo dedicato all’Italia. Proprio sul fronte dell’austerità, però, nel nostro Paese qualcosa non ha funzionato.

«Il capitolo sull’Italia riguarda la storia del debito pubblico italiano ed è l’esempio di una serie di errori storici che hanno portato il nostro Paese ad affrontare la crisi finanziaria del 2008 con un debito già molto elevato. Questo fardello ha avuto due conseguenze: la prima, non poter effettuare politiche fiscali espansive durante la crisi; la seconda, il dover effettuare politiche di austerità prima che finisse la recessione a causa della situazione sui mercati finanziari.
La prima cosa che non ha funzionato, quindi, sono gli errori del passato ai quali, come sempre accade in Italia, si è provato a porre rimedio solo all’ultimo momento. Quando è arrivato il governo Monti, infatti, la situazione era già drammatica e c’era la necessità di muoversi nel minor tempo possibile. Per questo sono state aumentate le imposte, mentre la riduzione delle spese sarebbe arrivata solo in un secondo momento.
Dover dare una risposta immediata ai numerosi errori commessi nel passato è ciò che principalmente non ha funzionato in Italia. I problemi, però, sono ben più seri e di lungo periodo dell’austerità. Chi dà la colpa all’austerità, come si sente o si legge oggi nelle dichiarazioni di alcuni politici, dice qualcosa che non ha assolutamente senso».

Detto questo, i problemi dell’Italia quali sono?

«I problemi reali del Paese sono una produttività che non cresce da un ventennio, gli investimenti in calo e il fatto che l’unico settore capace di trainare gli altri è quello delle esportazioni. Ci sono problemi ciclici che hanno provocato l’abbassamento delle stime di crescita per il 2019, a causa anche all’incertezza politica e ad alcune misure del governo che non sembrano dare frutti attesi. Ci sono però problemi di lungo periodo di un Paese che negli ultimi venti anni è cresciuto meno dell’Europa. Molto spesso si mischia il breve periodo di una possibile recessione e dell’austerità, dimenticandosi
che i problemi dell’Italia sono molto più reali e di lungo periodo».

Qual è la via d’uscita da questa situazione?

«Credo che la via d’uscita sia lunga. Nel breve periodo bisogna far ripartire la crescita con politiche fiscali che non l’azzerino e ridurre le regole inutili. Nel lungo periodo è necessario far ripartire il capitale umano, dato che abbiamo giovani bravissimi che vanno via dall’Italia. Con il governo Gentiloni si erano fatti dei progressi, l’economia aveva cominciato a riprendersi, il rapporto debito-Pil stava scendendo, il jobs-act era una riforma che andava nella direzione giusta. Insomma, sembrava si stesse uscendo dal tunnel.
Abolire o cambiare la riforma Fornero creerà dei deficit molto alti in futuro, il reddito di cittadinanza non è un metodo giusto di riformare il nostro welfare, dato che non farà altro che ridurre gli incentivi all’occupazione oltre che stimolare il lavoro nero. A tutto questo aggiungiamo la confusione politica e in generale l’incertezza che ha effetti importanti soprattutto sugli investimenti. Un investitore, oggi, prima di fare un salto in avanti vuole vederci più chiaro».

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.