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(WSI) –
Il sogno della lobby giudeo-massonica
internazionale, dei plutocrati
con il cappello a tuba e il naso aquilino
che si nascondono nei santuari
del capitalismo globale è da tempo,
come si sa, quello di abbattere la valorosa
coalizione antifascista che governa
da nove mesi l’Italia.
Di più, è quello di scardinare
una volta per tutte il bipolarismo
nato dalla gloriosa
rivoluzione antipartitocratica
dei primi anni novanta
per riaffermare il primato
della corruzione sull’onestà,
del capitale sul lavoro,
delle élite capitaliste
sulle masse operaie.
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Stando così le cose, non c’è da stupirsi
che, proprio nei giorni nei quali
giungeva a compimento il complotto
clerical-cossighiano contro il governo
Prodi, un altro colpo sia arrivato dalla
perfida Albione. Dove il mensile progressista
Prospect se n’è uscito con
una storia di copertina dedicata alla
fine della frattura tra destra e sinistra.
«What’s next?», cosa c’è dopo, si sono
chiesti i redattori della prestigiosa rivista.
E hanno girato la domanda a
cento tra gli intellettuali più in vista
del Regno Unito. Alcuni, per la verità,
hanno replicato: «more of
the same», la frattura novecentesca
tra destra e sinistra,
secondo Anthony Giddens,
Donald Sassoon e Robert
Skidelsky, è destinata a
sopravvivere al secolo breve
e a definire lo scontro
politico anche negli anni a
venire.Altri si sono divertiti
a immaginare nuove linee di demarcazione:
quella tra produttori e consumatori
(Paul Omerod), tra urbani e
rurali (Tobias Jones), addirittura tra
salutisti e obesi (Michael Fry). Una
frattura che ha raccolto molti consensi,
com’era prevedibile, è quella che
separa, sia a livello nazionale che internazionale,
gli illuministi dai fondamentalisti,
i seguaci della Ragione e
quelli di Dio, i fautori della scienza e i
suoi avversari.
E, però, tra tutte, la distinzione
che ha raccolto di gran lunga la maggior
numero dei consensi è quella tra
cosmopoliti e localisti. Per Bruce
Ackermann, i cosmopoliti sono quelli
che pensano che le soluzioni si trovino
a livello globale, che l’integrazione
debba proseguire e che molte barriere
vadano ancora abbattute. I localisti,
al contrario, sono quelli che vedono
nella globalizzazione una nuova
forma di imperialismo e che denunciano
il trionfo del Davos-man e della
macdonaldizzazione del mondo. Per
Michael Lind, il conflitto è tra Patria
e Plutopia: il piccolo mondo antico da
una parte, contro il globo dall’altra.
Al cuore del problema, come vede bene
Robert Cooper, c’è il ruolo degli
Stati nazionali. I cosmopoliti pensano
che debbano adattarsi al cambiamento.
I localisti li vedono
invece come
l’unico argine possibile
contro quello stesso cambiamento.
Ma cosa c’entra, tutto questo, con
le vicende italiane? C’entra eccome.
Perché se hanno ragione quelli che
pensano che la frattura fondamentale
sia ancora quella che separa destra e
sinistra, vuol dire che, per quanto
scalcinato, il bipolarismo italiano nella
sua forma attuale ha ancora un senso.
E che, per quanto rabberciata, l’unione
tra sinistra massimalista e riformisti
merita di essere difesa. Se, invece,
hanno ragione quelli che pensano
che la divaricazione fondamentale sia
ormai un’altra, quella tra apertura e
chiusura, lo scenario cambia radicalmente.
E prende senso l’idea di un rimescolamento
che separi coloro che
credono nei meriti delle riforme, della
concorrenza e della globalizzazione
da coloro che le avversano con tutte
le loro forze.
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