Settimana fiacca e anche un po’ terremotata, con crolli del Nasdaq come non si vedevano dai tempi della grande crisi. Gli operatori professionali, naturalmente, in queste ore ostentano molta sicurezza. Si tratta, dicono, di un ridimensionamento previsto e tutto sommato atteso, persino con una certa impazienza. Il mercato doveva arretrare in agosto, ma invece è poi andato avanti. Allora abbiamo detto che la correzione era attesa per l’inizio di settembre. Ma, di nuovo, è andato su. Adesso, siamo alla fine di settembre e, finalmente, le cose si muovono e il mercato fa quei passi indietro che poi gli consentiranno di ripartire con nuova lena.
I professionisti, pur sereni, quasi sollevati per quello che sta accadendo, sono poi divisi. C’è chi parla di una correzione del 5-7 per cento (che dovrebbe quindi essere quasi terminata). E c’è chi parla invece di un periodo turbolento destinato a durare per tutto ottobre, con il risultato finale di vedere i listini giù del 10-15 per cento.
In realtà, dietro lo sfoggio di nervi saldi da parte degli operatori professionisti, si avvertono paure in parte nuove e in parte vecchie, ma consistenti.
Al primo posto c’è certamente la questione del petrolio. Da tempo in molti si erano dimenticati del greggio. Ma adesso si è messo a salire, non ha l’aria di voler scendere. E in parecchi cominciano a pensare che prima o poi potrebbe anche abbattersi con effetti devastanti sull’ambigua ripresa economica in atto. In questo caso, oltre alle Borse verrebbero giù molte altre cose e, probabilmente, Bush non riuscirebbe a risalire alla Casa Bianca. Insieme a Bush però si troverebbero nei guai in parecchi altri.
Intanto, l’Europa, molto dipendente dal petrolio e quindi molto sensibile al prezzo del greggio. In uno scenario “cattivo” un forte rialzo del petrolio potrebbe voler dire per il Vecchio Continente rinviare di due-tre anni l’avvio della ripresa economica. Con conseguenze politiche e sociali molto gravi. Anche nelle Borse europee ci sarebbe una specie di macello. Qui si è andati al rialzo puntando tutto su una forte ripresa in arrivo dall’America, ma se il greggio taglia le gambe a questa ripresa, e non c’è più niente, allora sono guai seri. Forse le cose non andranno proprio così. Ma da qualche giorno il petrolio è diventato un pensiero molto fastidioso.
Poi ci sono le preoccupazioni consuete. Bush, ad esempio, fino a poco tempo fa era dato per sicuro vincente nella corsa alla Casa Bianca e questo voleva dire continuità nella politica economica e continuità nella politica monetaria. Adesso, petrolio a parte, non si è più tanto sicuri che le cose andranno proprio così. L’America già in mezzo al guado di una ripresa economica che non si sa quanto forte e solida, rischia anche, forse, di ritrovarsi dentro una tempesta politica di grandi proporzioni. Evento che ovviamente non piace ai mercati.
Infine, ci sono le cose più tecniche, più semplici, ma altrettanto preoccupanti. Intanto c’è il fatto che i mercati hanno corso e che devono fermarsi. Solo che un sacco di gente è saltata su proprio la settimana scorsa, o tre giorni fa, hanno appena sentito il profumo dei soldi. Rimandarli a casa con due lire o, peggio, con una perdita non sarà tanto semplice. Nessuno, insomma, può escludere una reazione nervosa anche di un certo peso. Al di là di tutti gli scenari socio-politici, cioè, la crisi delle Borse potrebbe anche nascere dentro le Borse stesse e per questioni molto interne, tecniche.
All’ultimo posto, ma non certo per importanza, c’è l’eterna questione della ripresa americana. Ormai si sa che i dati del terzo trimestre segneranno una ripresa fortissima. Di sicuro superiore al 4 per cento, forse vicina al 5 per cento. Ma si sa anche che il quarto e ultimo trimestre non sarà più così brillante. Segnerà un ritorno a un passo più calmo, più disteso, della congiuntura a stelle e strisce.
Ma si comincia a che a capire che la bestia nera dell’economia americana (e cioè l’occupazione) continua a essere presente. Tutto si muove, si dice, ma gli occupati invece di salire scendono, e questo significa che i consumi possono tenere solo a fronte di un’eroica crescita dell’indebitamento di coloro che un lavoro ce l’hanno ancora. E quindi siamo di fronte a una bolla (quella dei debiti) che continua a crescere, aiutata in questo anche dal costo irrisorio del denaro.
Molti, però, cominciano a dubitare che questo gioco possa avere ancora vita molto lunga. E le aziende, che fino a poche settimane fa emettevano bollettini trionfali e molto ottimistici, adesso cominciano a essere più prudenti e più misurate. Forse hanno già annusato che il Natale prossimo si farà con un consumatore americano già pieno di debiti e quindi, forse, poco portato a esibirsi in un’orgia di acquisti. E quindi i resoconti dell’ultimo trimestre potrebbero essere di nuovo colorati di grigio invece che di rosa.
Se così fosse, è chiaro che la correzione in corso sui mercati azionari potrebbe prolungarsi, venendosi a saldare con l’affievolirsi della congiuntura.
Insomma, se ieri di gli uomini dei mercati erano convinti che tutto andava per il meglio e che ogni giorno sarebbe stato migliore del precedente, adesso comincia no a pensare che potrebbe esserci qualche sorpresa. Il meglio, in un certo senso, potrebbe essere quello che sta alle spalle.
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