BERLINO (WSI) – La settimana scorsa, Wolfgang Schäuble si è lasciato andare ad una considerazione che nei momenti più acuti della crisi dell’euro avrebbe fatto schizzare rendimenti e tremare le Borse. Ha detto che la Germania non voterebbe un eventuale scudo anti-spread Omt, che per essere lanciato avrebbe bisogno anche del via libera del fondo salva-Stati Esm, dove decidono i governi e hanno diritto di veto.
Invece, nessuno ha reagito. Quella frase va considerata con grande attenzione perché dà conto di un timore concreto ai piani alti del partito di Angela Merkel.
Se scoppiasse una nuova emergenza in Europa, la cancelliera teme che molti del suo partito non voterebbero più un pacchetto di salvataggio: perciò il suo ministro delle Finanze ha marcato la linea dura, alla vigilia delle elezioni. E se i mercati non hanno reagito, è perché sanno che la Germania ha già dimostrato che è in grado di cambiare idea. Ma se il poker di Schäuble è riuscito sul piano finanziario, non è andato in porto quello politico. Molti voti dell’ala bavarese del suo partito sono andati agli anti-euro dell’Afd.
Il clima si è invece visibilmente rasserenato e i tedeschi hanno mostrato una forte capacità di adattamento alle dinamiche congiunturali, è la Banca centrale europea. A giudicare anche dalle parole di Mario Draghi di ieri, di nuovo molto esplicite sull’armamentario cui sta pensando per combattere i pericoli di deflazione, il presidente della Bce ha il consiglio direttivo al completo dietro di sé, Bundesbank compresa. Anche perché il 5 giugno saranno pubblicate le stime aggiornate sull’andamento dei prezzi al consumo, che saranno sicuramente peggiori delle ultime. Ieri Draghi, dal simposio di Sintra, la “Jackson Hole europea” inaugurata domenica ha esplicitato che l’Eurotower è in allerta, «particolarmente attenta alla possibilità di una spirale negativa fra bassa inflazione, aspettative inflazionistiche in discesa e credito bancario».
I banchieri centrali temono che le aspettative di rallentamento ulteriore dell’inflazione spingano «famiglie e imprese a rinviare le spese in un classico ciclo deflazionistico». Le ipotesi sul tavolo sono numerose, ma non è ancora chiara la tempistica degli interventi.
Un taglio dei tassi di riferimento dall’attuale 0,25 per cento allo 0,10 o 0,15 è ormai dato per scontato, così come un abbassamento dei tassi sui depositi sotto lo zero, a -0,10 probabilmente. E’ vero che non esistono precedenti significativi – l’unico è la Danimarca, ma è piccola e difficilmente paragonabile ad una banca centrale che raggruppa 18 Paesi diversi – ma una mossa del genere avrebbe non solo lo scopo di scoraggiare le banche a parcheggiare liquidità presso la Bce e ricominciare a farla circolare perlomeno in ambito creditizio. Servirebbe anche a scoraggiare investimenti in euro e dirottare liquidità verso il dollaro – e Draghi ha segnalato anche ieri che l’apprezzamento dell’euro lo preoccupa perché è un ulteriore elemento di pressione sull’inflazione.
Un’operazione su cui si sta ragionando molto seriamente è una nuova operazione di liquidità a lungo termine, una cosiddetta “ltro”, esplicitamente destinata ad essere girata alle imprese. Un cosiddetto “funding for lending” attraverso il monitoraggio stretto delle banche e dei loro bilanci per verificare l’uso effettivo che farebbero della liquidità.
L’Eurotower sta per abbassare i tassi ai minimi storici: vuol dire che l’operazione sarebbe convenientissima per le banche, che riceverebbero liquidità quasi a costo zero: se in seguito dovessero dimostrare di non aver sostenuto le imprese, la Bce potrebbe punirle con tassi più alti. Sul quantitative easing rimangono ancora dubbi, ma la Bce potrebbe cercare di rivitalizzare il mercato delle cartolarizzazioni Abs o comprare covered bond. Certo, i margini di intervento stanno diventando sempre più stretti, per la Bce. Ma la nuova santabarbara è pronta.
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