Società

Alert sanzioni Russia, ricadrebbero su di noi

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

ROMA (WSI) – Se dovesse andare davvero male, se dovessero scattare le sanzioni contro la Russia, in ballo per noi ci sarebbero circa 30 miliardi di euro di interscambio commerciale: oltre 10 miliardi di esportazioni e quasi 20 di importazioni. Per questo si capisce la cautela del nostro governo nell’assecondare misure troppo drastiche. E non a caso, nei giorni scorsi, Renzi parlava di sanzioni «progressive» e soprattutto «reversibili». Non solo la Russia vale circa il 2,8% del totale del nostro export, ma rappresenta uno dei pochi mercati di sbocco dove il made in Italy ha continuato ad affermarsi nonostante la crisi globale degli ultimi tempi.

Secondo l’ultima analisi dell’Ufficio studi di Confartigianato, che anticipiamo in esclusiva, a gennaio 2014 l’export cumulato degli ultimi 12 mesi (febbraio 2012-gennaio 2013) segna infatti una flessione dello 0,7% (dovuta in particolare al -1,2% del mercato interno europeo), mentre in Russia siamo riusciti a mettere a segno un lusinghiero +5,3% (solo in Cina +8,7 e Belgio + 9% siamo anditi meglio). All’opposto in alcuni importanti Paesi emergenti si registrano flessioni molto significative: -5,5% in Turchia, -12,2% in India. La crisi tra Russia e Ucraina, dunque, segnala Confartigianato, «potrebbe riverberarsi su uno dei mercati più dinamici per l’export italiano ed accentuare ulteriormente il rallentamento in corso».

Il settore del made in Italy più «esposto» è quello dei macchinari, che da solo vale più di un quarto (26,8%) della torta totale delle nostre esportazioni verso la Federazione russa e che solo nel 2013 ha messo a segno un brillante +10,3%. A ruota seguono articoli di abbigliamento con il 12,2% (+5,1%), articoli in pelle col 7,5% (+7,7%), mobili col 6,4% (+6,7%), apparecchiature elettriche col 6,1% (+4,3%), i prodotti chimici col 5,4% e i prodotti in metallo col 5,3%. A essere «colpite» sarebbero un po’ tutte le fasce d’imprese, comprese le più piccole: nei primi 15 settori, che coprono il 90,4% dell’export totale, segnala infatti Confartigianato, la quota di occupazione nelle micro e piccole imprese fino a 20 addetti è del 38,2%.

E se bloccassimo le importazioni? O venissero interrotte le forniture russe? Per noi potrebbe essere un problema grosso: poco meno dei nove decimi dell’import dalla Federazione Russa, 19,67 miliardi di euro, riguarda infatti prodotti energetici. Difficile farne a meno a cuor leggero. Gli acquisti di petrolio greggio e gas naturale valgono circa un quarto delle nostre importazioni totali. L’Italia è il quinto cliente del gas russo, con acquisti per 13,6 miliardi di metri cubi, dato questo che sommato agli acquisti di petrolio nel 2013 ha fatto segnare un aumento del 12% delle importazioni di prodotti energetici dalla Russia mentre il totale generale calava del 19,5%.

Confartigianato ha elaborato anche un «indice di specializzazione» che, al di là delle quote grezze di mercato, ricalcola il peso effettivo dell’export verso la Russia rispetto alle nostre medie mondiali. Ed il risultato vede in testa i mobili (indice di specializzazione pari a 297), seguito da articoli di abbigliamento (268), articoli in pelle (165) e macchinari e apparecchiature (146) .

Non sorprende quindi che le Marche, uno dei distretti di eccellenza del comparto del mobile, si collochino al primo posto con una incidenza dell’export verso la Russia sul valore aggiunto regionale del 2,0%, a fronte di una media nazionale dello 0,8%. Seguono l’Emilia Romagna con l’1,6%, il Veneto (1,4%) e l’Abruzzo (+1,2%). A livello regionale, per stare solo alle produzioni manifatturiere svetta la Toscana (5,7% di quota) con una crescita del 21,6%, seguono Lombardia col 13,3% (da cui proviene il 29,5% dell’export manifatturiero italiano verso il territorio russo), Veneto con il +9,9% (16,9% dell’export manifatturiero nazionale verso la Russia), dal Piemonte con il +8,9% (7,8% dell’export) e dall’Emilia-Romagna con il +5,9% (18,9%).

A livello provinciale, al primo posto c’è la «vecchia» provincia di Ascoli col 3,4%, poi Chieti (3,2%), Reggio Emilia (2,6%), Rimini (2,5%) e Vicenza (2,1%). Ma a pagare dazio, in caso di sanzioni, sarebbero anche le province che hanno una più spiccata vocazione all’export, a cominciare da Varese, Roma, Novara, Mantova e Firenze che tra le 31 province che presentano una quota dell’export superiore all’1%, nel 2013 sono cresciute tra il 24 ed il 55%.

Sintetizza Giorgio Merletti, presidente Confartigianato: «Le nostre rilevazioni confermano che le produzioni made in Italy sono competitive e continuano a conquistare i mercati mondiali. Ma situazioni a rischio come quella che interessa l’area della Russia condizionano pesantemente le performances delle nostre imprese all’estero. Questo non fa che rafforzare la necessità di puntare al rilancio dei consumi interni, se vogliamo sostenere la ripresa economica e rasserenare le prospettive degli imprenditori».

Copyright © La Stampa. All rights reserved