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Algoritmo dei prezzi, il caso Amazon riaccende i riflettori: di cosa si tratta

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Sembra che siano sempre più in aumento le aziende che ricorrono all’algoritmo dei prezzi. Tra queste ci sarebbe anche Amazon che sarebbe di recente finita nel mirino della Federal Trade Commission (FTC, ovvero l’autorità federale Usa per la tutela dei consumatori). Secondo la’Antirtust Usa il colosso di Seattle guidato da Bezos avrebbe fatto ricorso, come riporta Reuters, a strategie illegali per conservare il proprio primato nella distribuzione retail, aumentando i prezzi per gli acquirenti e facendo lievitare il margine sui venditori indipendenti. Insomma, l’indagine dell’Antitrust americano pone l’accento sul fatto che Amazon avrebbe alzato i prezzi per un importo superiore al miliardo di dollari tramite algoritmi segreti chiamati ‘Project Nessie‘.

Ma cosa si intende per algoritmo dei prezzi e come funziona?

Che cos’è l’algoritmo dei prezzi e perché viene utilizzato

Quando si parla di algoritmo di prezzi, ci si riferisce ad una tecnologia che non è nemmeno troppo recente. Da tempo marchi alberghieri e imprese specializzate in voli di linea fanno un largo uso del pricing algorithm, appunto un algoritmo che analizza e modella il prezzo di un prodotto o servizio, e che possa così prevedere il trend di mercato di tale prodotto o servizio successivamente.

Come spiega l’Istituto per la Competitività (I-Com), un think tank fondato nel 2005 con sede a Roma e a Bruxelles, all’inizio l’algoritmo dei prezzi funzionava soltanto secondo regole adattive di prezzo, che però venivano stabilite a priori dai programmatori. Si stimava la curva di domanda di mercato utilizzando dati storici, poi si sceglieva il prezzo giusto che permetterebbe di massimizzare il profitto. Oggi è completamente diverso. Grazie all’intelligenza artificiale, “[…] una volta specificate la variabile-obiettivo da massimizzare (come, ad esempio, il profitto) e la frequenza con cui all’IA è concesso sperimentare nuovi prezzi, essa è in grado di apprendere autonomamente la linea di comportamento che meglio permette di raggiungere l’obiettivo.“.

Grazie al reinforcement learning (in pratica l’esperienza “pregressa” dell’IA) comincerà a scegliere nuove strategie di prezzo per valutarne gli effetti. Se produce un incremento dei profitti, l’IA continuerà  su questa scelta. Ed è qui che potrebbero nascere i problemi, perché nel lungo periodo l’IA preferirà adottare un tipo di prezzo collusivo, e quindi manipolatorio. Questa tendenza è stata analizzata precedentemente in uno studio di Calvano, riportato su Pubmed. Mettendo in competizione due algoritmi identici l’uno contro l’altro, in un mercato virtuale, all’inizio adottato come strategia il prezzo competitivo. Quando hanno cominciato a sperimentare nuove strategie, hanno fatto in modo che i prezzi crescessero gradualmente fino al livello di collusione.

Nonostante il sistema tenda a creare una competizione effettivamente anti-concorrenziale, la tecnologia di per sé aveva un fondamento di ottimizzazione del pricing, e quindi in linea con le disposizioni vigenti in maniera di tutela dei mercati e dei consumatori. Ovviamente questa deriva creatasi col rischio di “collusione algoritmica” non sembra sia stata arginata dalle imprese stesse.

Algoritmo dei prezzi nei casi Amazon e Ryanair

Recentemente la FTC (Federal Trade Commission) ha accusato Amazon di aver utilizzato un algoritmo per identificare prodotti specifici “[…] per i quali prevede che altri negozi online seguiranno gli aumenti di prezzo di Amazon“. Chiamato Project Nessie, secondo quanto riportato da Reuters, questa IA ha permesso ad Amazon di guadagnare più di un miliardo di dollari.

La FTC riporta che l’utilizzo di questo algoritmo dei prezzi sia iniziato nel 2010, per vedere se altri rivenditori online monitoravano i suoi prezzi. L’obiettivo era infatti di aumentare i prezzi dei prodotti che probabilmente venivano già monitorati dai concorrenti. Qui scatta la strategia collusiva: nel momento in cui i rivenditori si sono messi ad adeguare i propri prezzi, “[…] Amazon avrebbe continuato a vendere il prodotto a un prezzo gonfiato“. Portandola a guadagnare un extra-profitto da 1 miliardo di dollari.

Amazon replica che tale strumento di pricing non è più in funzione da anni. In effetti è così, ma secondo la FTC, ma prima di sospenderlo nel 2019, Amazon nell’aprile 2018 lo ha utilizzato per fissare i prezzi per oltre 8 milioni di articoli acquistati dai clienti. E dopo averlo messo in pausa durante gli eventi di vendita del Prime Day e durante la stagione dello shopping natalizio “Amazon ha riattivato il progetto Nessie e lo ha gestito in modo più ampio per compensare la pausa“.

Caso simile è anche quello di Ryanair, una delle principali compagnie aeree in Europa e in Italia. Durante il periodo estivo l’azienda è stata accusata, assieme ad altre compagnie, applicare dei rincari nelle tariffe dei biglietti aerei. Come riportava l’ENAC in una lettera al Garante, “[…] si stia riscontrando un generalizzato e significativo incremento delle tariffe dei biglietti aerei […] tra il 20% e il 50% rispetto a quanto praticato dai vettori nello stesso periodo della trascorsa annualità, con picchi del 70% per alcune tratte insulari.”. E questo sembra dettato dall’utilizzo “indiscriminato” dell’algoritmo, che determina pratiche commerciali discutibili, “[…] in quanto sembrano sfruttare situazioni di necessità ed emergenza in cui versa l’utenza con la sola finalità di massimizzare dei profitti.

La normativa contro gli algoritmi

Il governo Meloni è intervenuto sul caso Ryanair proponendo col Decreto Asset lo stop agli algoritmi che alzavano i prezzi per le rotte nazionali da e per le isole. Una blocco che scatterebbe durante un periodo di picco di domanda e se il prezzo di vendita del biglietto è del 200% superiore alla tariffa media. A questo si sarebbe aggiunto anche il divieto all’uso della profilazione web e mobile per fissare le tariffe. Una mossa che ha incontrato critiche da parte dell’AD di Ryanair, addirittura minacciando di tagliare le linee aeree per le isole, ma anche perplessità da parte delle autorità europee, che hanno messo il decreto sotto esame.

In effetti, per quanto possa rientrare tra le pratiche scorrette, come segnala l’Istituto, “[…] tra i problemi strutturali che le norme dell’articolo 101 del TFUE non riescono a contrastare vi è il crescente rischio di collusioni tacite causato dalle soluzioni tecnologiche basate su algoritmi.“. In pratica c’è un vuoto legislativo, che già nel 2020 era stato fatto notare in una proposta di riforma avanzata dalla Commissione Europea (2020). L’idea sarebbe di vietare espressamente l’utilizzo di alcune famiglie di algoritmi, oppure di dare alle autorità antitrust il potere di effettuare , in particolare, “[…] che permettano di intervenire in presenza di una minaccia strutturale che limita la competizione”. O rendere le aziende legalmente responsabili delle regole di prezzo adottate dalle loro IA.