(WSI) – La reazione praticamente univoca di sindacati e lavoratori il giorno dopo l’ufficializzazione dei 5000 esuberi previsti dal piano Cimoli è un indubbio gesto di responsabilità. Voli regolari, nessuna protesta selvaggia: «Non è il momento di scioperi», le parole del segretario della Filt-Cgil Fabrizio Solari sintetizzano bene l’atteggiamento di tutte le sigle che rappresentano i lavoratori.
Già la settimana scorsa il Riformista aveva detto che nel «partito del fallimento» i politici erano molto più numerosi dei sindacalisti e che specie tra i sindacati confederali si stava formando la consapevolezza che anche sugli esuberi bisognasse trattare. Né questa scelta, né la reazione di ieri erano ovvie e infatti non è detto che duri.
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Singoli gruppi di lavoratori, sigle sindacali o l’intero fronte dei rappresentanti potrebbe scegliere alla fine la linea dura della protesta senza regole. Sia chiaro, la paura di perdere il posto giustifica le preoccupazioni e le reazioni dei singoli, ma non lo stupore: come meravigliarsi se i tremila esuberi ipotizzati ad inizio anno sono raddoppiati dopo mesi d’incertezza gestionale e tre cambi al vertice? Come si può chiedere ancora l’iniezione di capitali pubblici quando per mesi si è cercato senza successo – grazie a Bruxelles – di percorrere quella strada?
Eppure, l’unico dato positivo è che forse ormai la crisi della compagnia di bandiera è talmente avanzata da rendere inapplicabili le vecchie regole dei salvataggi all’italiana: il governo non può e (non deve) pensare a qualche stravagante soluzione in extremis, il management non deve salvare la faccia perché ha mantenuto esattamente quello che aveva promesso, i sindacati forse, solo da poco, hanno capito che l’alternativa è realmente una severa cura d’efficienza o il fallimento.
Insomma per usare un’espressione calcistica «sono saltati gli schemi» e proprio come nelle partite di calcio è questo il momento in cui ci si può aspettare che accada qualcosa d’inatteso e memorabile. Esiste ancora un tavolo delle trattative, un piano modificabile nei particolari e una settimana per cercare di salvare il salvabile. E magari per trasformare Alitalia, per anni simbolo del patto tacito tra sindacati e politica su come gestire a scapito della collettività un bene pubblico, in un modello del tutto opposto.
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